UNA MOGLIE (1974). CASSAVETES NEI MEANDRI DELLA PSICOSI

Non si può negare che John Cassavetes, oltre a immense doti da regista, abbia avuto anche una testardaggine oltre misura. Se così non fosse stato, questo capolavoro, nel 1990 inserito nel prestigioso Film Registry della Biblioteca del Congresso, non avrebbe mai visto la luce.

    E non è difficile capire perché. Quale produttore poteva essere così pazzo da investire soldi in una storia nella quale non accade niente e per quasi due ore e mezzo vediamo una donna con problemi di disagio mentale impegnata in continui scontri con il marito, gli amici, i parenti, i figli e qualsiasi altra persona le capiti nei paraggi? Nessuno.
E difatti il film ha visto la luce solo perché Cassavetes per girarlo si è impegnato la casa e Peter Falk, protagonista, ci ha messo una fetta del budget.

    Ma i problemi di questo film non sono finiti il giorno dell’ultimo ciak. Anzi, si può dire che allora sono cominciati, visto che nessun distributore ha voluto occuparsi della pellicola. Per fortuna c’era Cassavetes, e la sua testardaggine. Testardaggine che lo ha spinto a impegnarsi per far proiettare il film in qualsiasi contesto sia riuscito a trovare, dai pub alle università, dalle biblioteche alle librerie. Che avesse ragione, lo si è visto. E non solo per il prestigioso riconoscimento della Biblioteca del Congresso, ma anche per le due nomination ottenute, per il miglior film e per la migliore interpretazione femminile.

    In origine la storia doveva diventare uno spettacolo teatrale, ma Gena Rowlands disse di non poter reggere di interpretare tutte le sere, per un lungo periodo, un personaggio così psicologicamente impegnativo. Così Cassavetes invece di una pièce teatrale scrisse una sceneggiatura. E lo fece ricorrendo ancora una volta a quel mix perfettamente equilibrato fra recitazione e chiamiamola improvvisazione, ma improvvisazione, come la intendiamo di solito, non è. Perché quella di Una moglie è una scrittura solidissima, una vera e propria gabbia che gli attori devono rispettare minuziosamente. Così come devono rispettare le battute scritte. Ma oltre questo, possono giocare con la mimica, l’espressività. La Rowlands si inventa così questo personaggio che parla pochissimo e per la maggior parte del tempo si esprime con la mimica. Le due dimensioni, quella della parola scritta della sceneggiatura e quella espressiva si rincorrono ma non entrano mai in opposizione.

    I dialoghi sono scarni. Poche parole, quasi smozzicate. La maggior parte delle indicazioni sono di movimenti. Di sentimenti che devono passare ma non attraverso i dialoghi. Chi volesse trovare appigli psicologici nella sceneggiatura, nei dialoghi, sbaglierebbe. La profondità psicologica, le dinamiche delle situazioni emergono dai movimenti, dai volti.

    Cassavetes appartiene a quella categoria di registi che lasciano molta libertà ai propri attori. L’equilibrio è garantito dal fatto che regista e sceneggiatore coincidono nella stessa persona. Oserei aggiungere, oltre a queste figure tecniche, il ruolo di marito, della Rowlands, e di grandissimo amico di Peter Falk.

    Nel cinema si dice che per un regista non c’è niente di peggio che dover lavorare con l’acqua e con i bambini. Non c’è niente di più ingovernabile di queste due cose.
Nel film Cassavetes di bambini ne mette tre, fissi, quelli della Rowlands, e poi inserisce anche una lunga sequenza con una festa per ragazzini. Una sicurezza che si trasmette nel modo con il quale scandisce le inquadrature esaltando la scrittura ma senza mai lasciare che occupi tutta la scena.

    Personaggio borderline, come tutti quelli delle storie che ha raccontato, Cassavetes è morto di cirrosi epatica a soli 59 anni. Come tutti i grandi tormentati della storia del cinema, ha girato pochi film, dodici. Fra questi dodici Una moglie (1974), per quello che mi riguarda, è secondo solo a La sera della prima (1977).

ANTONIO TURI

ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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