SERGEJ BONDARCHUK, COL CUORE NELLA STEPPA

Il 25 settembre 1920 nasce in Ucraina il regista ed attore del cinema sovietico e russo fra i più noti anche sul piano internazionale, poniamo il focus su un film di Sergey Bondarchuk che ha alimentato molto la stampa dopo la partecipazione a Cannes: Oni srazhalis za rodinu (1975) (Essi hanno combattuto per la patria), dall’omonimo poema in prosa di  Mikhail Sholokhov (1943-45), film che segue il notevole consenso internazionale di due anni prima di Kosmos: Anno 2000, in cui la fantascienza si somma all’impegno sociale, mostrando notevoli effetti speciali che nulla hanno da invidiare ai film pari genere dei Paesi occidentali.

  “Vi si parla della Seconda guerra mondiale, un argomento di particolare importanza per in cinema sovietico, e non solo. È stato analizzato a fondo anche in Paesi come Polonia, Italia, Francia, Germania e in tutte quelle nazioni in cui la guerra ha lasciato tracce indelebili; che sono impossibili da dimenticare, e che non vanno dimenticate per evitare il ripetersi di una simile tragedia.

  L’azione si ambienta nell’estate del 1942, in uno dei periodi più difficili e duri della guerra contro i nazisti. In quei giorni, sul settore meridionale del fronte sovietico-tedesco, i nazisti erano riusciti a concentrare innumerevoli forze, e, approfittando della loro superiorità di uomini e mezzi, si erano diretti verso est con l’intenzione di tagliare fuori il Caucaso dalla Russia centrale. Decine e decine di divisioni, sostenute da migliaia di carri armati e da aerei, marciavano verso Stalingrado e l’Armata Rossa indietreggiava pur combattendo aspramente.

  Il protagonista del film, al centro di questi avvenimenti, è uno dei reggimenti sovietici in ritirata, dissanguato e stremato. Delle sue duemila unità sono rimaste soltanto poche centinaia di uomini.

  I soldati stanchi, camminano su una strada polverosa, sotto il sole rovente di luglio. Attorno, la steppa sembra infuocata. Anziché riposarsi, però, bisogna combattere. Un’ora dopo l’altra. Vinto un combattimento, ce n’è un altro da vincere, e un altro ancora. E così per tre anni, in mezzo al fuoco, al sangue, alle lacrime. Al di sopra di tutto, però, più forte di tutto, c’è, a fare andare avanti il sentimento d’amore verso la patria, la totale disponibilità della propria vita al servizio della libertà.

  Fra i tanti interpreti, avrò una parte anch’io. Non perché faccio l’attore da anni, ma perché tutto quello che il film tratta me lo sento particolarmente vicino. Sono nato in Ucraina, dove la vicenda si svolge, la mia infanzia, la mia adolescenza, le ho trascorse nelle città meridionali russe di Taganrog, Rostov sul Don e Ejsk. E per di più, proprio con quella gente descritta nel film. La guerra l’ho combattuta proprio lì, la lotta per la difesa del Caucaso l’ho vissuta io stesso, in quei luoghi, giorno per giorno. Non potevo, dopo tanti anni, in un mio film, non riviverla nuovamente anche davanti alla macchina da presa. Persino a Sholokhov darò una parte nel film. Inizialmente volevo affidarli proprio quella dell’autore letterario, ma non ha accolto la mia idea con molto entusiasmo; è probabile, quindi, che gli affidi il ruolo di rappresentare, con la sua voce, la voce stessa dell’autore; che illustra, che commenta”.

  Indagando più a fondo sulla spinta motivazionale che ha indotto Bondarchuk a dedicare il suo ultimo film a questi temi e sull’interesse verso il film:

  “Non mi ha interessato di certo l’epica o l’avventura. Con Sholokhov, che ha collaborato con me al soggetto e alla sceneggiatura, abbiamo tentato di suggerire agli spettatori dei motivi di riflessione su problemi di natura morale, etica e filosofica. La nostra ambizione è stata quella di portare alla luce la dialettica del cuore umano, studiando le ragioni del comportamento della gente semplice, operai, contadini, diventati soldati per difendere la patria. L’uomo e la guerra. La morte e le distruzioni. Il trionfo della forza e, nello stesso tempo, la vittoria delle passioni più nobili, l’amor patrio, la grandezza d’animo, la fedeltà al dovere. Non è facile penetrare con i mezzi che l’arte ci mette a disposizione nell’intimo di questi sentimenti; l’impresa, però, è appassionante, e vale sempre la pena di tentarla”.

  Ma l’idea che Bondarchuk ha di se stesso come regista e dei registi, in generale, all’interno di un lungometraggio? Ritiene che sia solo un artefice della realizzazione del film tra i tanti a collaborare, oppure è assolutamente centrale?

   “In un film certo, il regista è importante. Ma è il primo? No! Il primo è l’autore del soggetto, dato che al cinema tutto comincia dal soggetto. È il più importante, allora? È lui che dirige la lavorazione di un film, al centro di quel meccanismo complesso e sensibile che è la troupe cinematografica. Il livello artistico e concettuale del film dipendono, in primo luogo, da lui. Ma è l’unico autore? No. Il cinema è un’arte in cui il successo o l’insuccesso dipendono da una molteplicità di fattori. Tutti quelli che partecipano alla lavorazione di un film, compresi il direttore della fotografia, lo scenografo, il costumista, gli interpreti, influiscono in una determinata misura sulla qualità. È un’esperienza che ho fatto io stesso come regista quando realizzavo Otello, il moro di Venezia (1956), Il destino di un uomo (1959), Era notte a Roma (1960), e così via; le mie idee si attuavano soltanto dietro il più totale affiatamento della troupe e quando ognuno dei suoi membri comprendeva esattamente quale era il suo compito, e lo eseguiva con tutta la sua intelligenza creativa”.

  La carriera di autore di Sergey Bondarchuk è di tutto rispetto se sovrapposta a quella di molti altri autori, suoi connazionali.

  “Se guardo indietro, al cammino percorso fino ad oggi, vedo diversi sbagli. C’è però un elemento comune nei miei film che ha sempre destato il consenso dello spettatore: l’indirizzo tematico ideale, che è sempre stato quello della guerra ingiusta, e di quelli che la scatenano opponendo l’odio, la perfidia e l’inimicizia alla saggezza e ai sani principi di un amichevole buon vicinato. So che gli spettatori gradiscono questa idea che ricorre nei miei film. Questo accade perché, forse, è il tema che più sta a cuore agli uomini, quello dell’amicizia tra i popoli. Soprattutto agli uomini semplici, a quelli che odiano la guerra e sostengono ogni parola per combatterla, difendendo la comprensione tra tutti”.

  Bondarchuk, come tutti i registi impegnati, assegna al cinema una funzione, un ruolo, e nella battaglia delle idee, questa è la sua:

  “L’arte, e quindi anche il cinema, è una grande forza. Ed è bella vederlo al servizio del bene dell’uomo e del suo progresso; è triste, invece, vederla in balìa dell’odio e del male. Quanto fango, quante oscenità , quante miserie di ogni genere piovono dallo schermo sulle persone credule e ricettive, soprattutto sui giovani! Il cinema che si compiace della crudeltà e della violenza, della pornografia moltiplica il male e contribuisce a sviluppare quanto di peggio c’è nell’uomo. Il cinema che vuole il bene dell’umanità ha l’obbligo di opporsi a tutto questo. Tolstoj diceva: “Tutte le idee che hanno grandi conseguenze sono semplici”. I corrotti si sono uniti tra loro e sono una forza. Lo stesso deve fare la gente perbene. Questa idea è semplicissima. Invece di starsene a guardare il male, aspettando inattivi che il bene arrivi, bisogna che gli onesti lottino uniti affinché il bene s’imponga, perché vinca. E in questa lotta, la settima arte ha una funzione di primissimo piano”.

   Che indicazione o consiglio potrebbe dare agli uomini di cinema, Sergey Bondarchuk?

  “Ogni di film va realizzato liberamente con pari dignità e valore, rispetto al genere a cui appartiene: dramma, commedia, tragedia, cronaca storica; ed in qualsiasi formato, panoramico o normale. Piena libertà anche dal punto di vista tecnico: mi sta bene che sia il buon vecchio cinema tradizionale, sia quello moderno. Ogni film deve saper essere interessante, ed il suo linguaggio non deve mai essere troppo difficile. Detesto lo sfoggio delle proprie qualità – riguarda soprattutto registi e sceneggiatori – in modo gratuito solo per impressionare la gente. Non amo e non accetto questo modo di fare cinema. Sono per l’armonia tra forma e contenuto, con il contenuto in primo piano. Ma non sono per i film didattici, che rischiano di trasformarsi in un’antologia di frasi educative ed esortative. Questo non vuol dire che io sia contrario ad un’arte che diffonda e affermi determinate norme morali, facendosi portatrice di determinate convinzioni, insegnando ad avere determinati gusti e punti di vista. Anzi, non ammetto un’arte priva di idee, di tendenze, di ferme convinzioni. Ma non voglio neanche che l’arte si sostituisca alla scienza; o al giornalismo. L’opera d’arte non deve mai essere un surrogato di qualcosa. Deve aver in sé una propria via per arrivare al cuore e all’intelletto dell’uomo: attraverso le sue autonome strutture, il suo sistema di modelli”.

  Circa Bondarchuk e il futuro della settima arte:

  “Credo sarà anche più bello del presente. Il cinema esercita oggi una grande influenza sulla vita di tutti. Una forza che non si può ignorare. Le sue potenzialità sono ben lontane dall’essersi esaurite. L’arte cinematografica assumerà nuove forme e nuovi linguaggi, le scoperte tecniche lo renderanno accessibile a sempre più persone. Le sue facoltà espressive aumenteranno; e così le sue capacità di impressionare e di commuovere. Sono convinto, inoltre che il cinema favorirà i processi naturali di pacificazione tra i polpoli e le ideologie e sarà strumento fertile per l’affermazione degli ideali umani nobili, conquistando ancora più rilevanza come nutrimento spirituale tra la gente.

Pubblicazioni di riferimento: 7 domande a 49 registi di Gian Luigi Rondi (SEI Ed.) , Cineforum (AA. e Nrr. VV.), Filmcritica (AA. e Nrr. VV.), Positif (AA. e Nrr. VV.), Chaiers du cinéma (AA. e Nrr. VV.), Bianco e nero (AA. e Nrr. VV.).

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