SALVO RANDONE: IL MARE DEI MITI SOTTO LA GIACCA A DOPPIO PETTO

Io, siracusano, sentivo da piccolo parlare in casa di Salvo Randone, anch’egli siracusano, come del Teatro stesso. Non avevo avuto modo per ragioni anagrafiche, di essere partecipe della grande stagione che l’aveva visto protagonista, sulla scena del teatro greco, di quelle che ancora oggi a Siracusa vengono chiamate «feste classiche».

    Con la confidenza che qui tutti hanno verso i miti e le figure tragiche, mia madre mi raccontava di Oreste, di Edipo, di Creonte e delle vicende sanguinose delle famiglie regali. Certo, da quelle descrizioni e da quei racconti sono sicuro di aver costruito, bambino, una immagine di Randone un po’ guerriero e un po’ gigante; l’imponenza di quella immaginata figura era mitigata solo dalla consapevolezza che il saperlo parente di amici di famiglia, in minima
percentuale, lo riconduceva nella sfera di un mondo a me più vicino e più familiare. Solo molto più tardi, anni dopo avvenne invece il mio vero incontro con Randone. Lontano dai grandi palcoscenici, lo vidi recitare in provincia,
vestire gli abiti modesti di Agostino Toti, il protagonista di Pensaci, Giacomino, personaggio del tutto lontano dai furori e dai dolori assoluti ai quali mentalmente – inconsciamente – continuavo ad associare l’immagine di Salvo Randone. Anche se non ne ho un ricordo esatto, credo purtuttavia di essere stato deluso da questa esperienza, in un primo momento.

    Randone all’apparenza, su quel palcoscenico non era né grande né guerriero, anzi in certo modo apparentato a Eduardo che i miei anni fiorentini da studente mi avevano invece, grazie alle sue frequenti apparizioni alla Pergola, fatto conoscere ed amare, mi ricordava del grande napoletano l’arte di asciugare, di togliere, di essenzializzare minimizzando. Pero poi d’improvviso si veniva feriti come da una luce di grande verità che superava il fatto contingente del recitare. E alla fine di quella rappresentazione, al termine della quale avevo promesso a me stesso che avrei cercato di rinnovare, ogni qualvolta possibile, quell’incontro, quella luce di verità esplosa su un modesto palcoscenico di provincia, mi parve la migliore forma espressa delle parole dei miei genitori che mi raccontavano, bambino affascinato, del grande Randone fra le pietre del Temenite.

    Più avanti, di quelle sensazioni, di quelle emozioni avrei trovato una perfetta descrizione nelle parole che Roberto De Monticelli avrebbe dedicato al grande attore: “Salvo Randone, la maschera perenne della ragione umana turbata e il mare dei miti sotto la giacca a doppiopetto.”

EMANUELE GILIBERTI

ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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