OCCHI SENZA VOLTO (1960). IL LIRISMO E “L’AMOUR FOU” DI GEORGES FRANJU

Macabro e decadente, ha già compiuto 60 anni questo splendido gioiello del cinema del mistero, uscito in Francia nel gennaio del 1960, e che rappresenta una delle pietre miliari del genere.

    Grazie a una co-produzione franco-italiana, Georges Franju adatta per il grande schermo il romanzo uscito l’anno prima Les yeux sans visage di Jean Redon, il quale partecipa anche alla sceneggiatura assieme ai noti Boileau & Narcejac (I diabolici, La donna che visse due volte…). Oltre ai fondi, l’italiana Lux Film recluta una delle sue migliori interpreti del periodo, l’algida e sofisticata Alida Valli che qui recita uno dei maggiori ruoli che le hanno reso gloria: la spietata e devota assistente di un medico che conduce esperimenti sui trapianti di tessuti umani.

    Il medico in questione è il dottor Génessier (Pierre Brasseur) il quale tenta di ridare un volto alla figlia rimasta orrendamente sfigurata da un incidente d’auto da lui stesso causato, Christiane (Édith Scob), costretta a vivere segregata dopo che ne è stata inscenata la morte e con indosso una maschera bianca per nascondere alla sua stessa vista i tratti deturpati del suo giovane volto. Agendo dunque più per senso di colpa – e naturalmente per amore – che non per il progresso scientifico cui tuttavia auspica, Génessier fa rapire alcune ragazze con le stesse caratteristiche fisiche di Christiane (capelli biondi ed occhi azzurri) dalla sua fedele aiutante Louise (la Valli), la quale agisce per riconoscenza nei confronti di quell’uomo che già tempo addietro salvò il suo aspetto grazie ad un trapianto del viso. Gli esperimenti condotti sulla figlia però procedono male, tra rigetti post-operatori e la morte di alcune ragazze che destano i sospetti della polizia. La giovane Christiane inoltre inizia ad essere stanca di quella vita così sofferta e del fatto che altre donne debbano essere sacrificate per lei, e così arriverà a prendere una tragica decisione.

    Pur essendo considerato uno dei classici dell’horror nonché modello ispiratore per tante pellicole di lì a venire, Occhi senza volto appare perlopiù come una fiaba decadente, lugubre e poetica insieme, che tratteggia con compassionevole lirismo il dramma di una giovane donna che ha perso la sua identità. Reclusa dal mondo e creduta morta da tutti, anche dal suo fidanzato, Christiane vive la sua prigionia dietro il candore di una maschera neutra nella speranza che il padre possa ridarle un volto. Génessier, dal canto suo, fa di tutto pur di riuscirci e non esita ad incedere nei suoi misfatti a danno di ignare ragazze che fanno il tragico errore di fidarsi della generosità di Louise. In questo senso, egli incarna la figura di un “mad doctor” che – fin dai tempi del Frankenstein di Mary Shelley – opera nei suoi laboratori segreti per ridare vita alla morte. Ma più che la follia nel vero senso del termine, in Occhi senza volto si celebra l’amore e la voglia di rivalersi nei confronti di un rimorso troppo grande da sopportare.

    Eppure, ciò che rende veramente stupendo questo film è la sua forza visiva, corroborata da una resa estetica superba che lo rende affascinante oltre ogni aspetto, rendendo omaggio ai maestri dell’espressionismo del cinema tedesco. Le immagini sono costruite con grande efficacia e meticolosa attenzione per le luci e le inquadrature, nonché per le ambientazioni dal gusto gotico più suggestivo. La colonna sonora di Maurice Jarre e la meravigliosa fotografia in un bianco e nero “espressionistico” sublimano col proprio tocco un’opera che è al tempo stesso romantica e crudele, con un epilogo tanto forte quanto poetico. Una catarsi che va a suggellare una visione che tutt’oggi, a ben poco oltre 60 anni di distanza, continua a non avere prezzo.

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