NANNI LOY E LA DENUNCIA DI MALCOM X

Esponente del cinema « civile » italiano, cagliaritano, ideatore di una fortunata serie di trasmissioni televisive stile cinema-verità (Specchio segreto, 1964); tra i suoi lungometraggi più indicativi c’è Sistemo l’America e torno (1974), una satira drammatica su un italiano in America.


Come ne enunceresti il nucleo narrativo del film suddetto?

    « Un funzionario di una grande ditta italiana del nord si trova a New York per sdoganare certe merci; sta per rientrare in Italia quando da Milano gli telefona il suo boss e gli dà l’incarico di portare in Italia un campione americano di basket al quale la ditta ha fatto un contratto perché giochi nella squadra che sovvenziona a fini pubblicitari. Questo è il cosiddetto spunto, il pretesto meccanico, in realtà, oltre l’apparenza dell’intreccio, con Leo Benvenuti e Piero de Bernardi, autori del soggetto e della sceneggiatura, abbiamo tentato di raccontare un “conflitto” un incontro-scontro, un rapporto (forse come tutti i rapporti, amore-odio?) fra due uomini, lontanissimi e diversissimi tra loro: un impiegatuccio settentrionale, conformista, piccolo borghese, prudente, politicamente indifferente, sempre al limite del qualunquismo, e uno studente universitario negro, famoso giocatore dilettante, molto politicizzato, esuberante, invadente, apparentemente capriccioso e incoerente, persino un po’ “divo”, in realtà consumato dal vivere la contraddittoria, dolorosa, tragica vicissitudine comune a tutti i giovani militanti negri degli Stati Uniti ».

Quali sono i temi, i problemi in cui, nel tuo film, hai guardato con maggiore rilievo polemico?

    « Attraverso le esperienze del protagonista italiano continuamente travolto dalla sempre mutevole, caotica, quasi inafferrabile, complessa realtà della società nordamericana, così ricca di indicazioni contrastanti, di tensioni “eccentriche”, abbiamo tentato, per quel po’ che lo consente un solo film, di fornire allo spettatore una serie di informazioni sulla solitudine, la violenza, lo sfruttamento, gli slums, l’integrazione, i disordini, gli scioperi, i sottoproletari di colore, il razzismo e le lotte antirazziste condotte dalle minoranze etniche e politiche ».

Anche questo film, dunque, come tutti i tuoi film parte da un civile impegno di informazione storica e sociale?

    « Lo sforzo di informare correttamente lo spettatore su alcuni episodi storici o problemi della società contemporanea ha caratterizzato, forse da sempre, il mio lavoro di regista (a parte qualche parentesi e qualche cedimento “alimentare”): sulla Resistenza a1 nazifascismo ho realizzato (Un giorno da leoni (1961) e Le quattro giornate di Napoli (1962); sulla crisi di una socialista della generazione di mezzo Il padre di famiglia (1967), sulle aberrazioni del sistema di carcerazione preventiva Detenuto in attesa di giudizio (1971). Per Sistemo l’America e torno i due scrittori ed io ci siamo basati su testimonianze dirette raccolte durante due sopralluoghi negli Stati Uniti e su queste fonti letterarie: Autobiografia e ultimi discorsi di Malcom X, Cogliere l’occasione di Bobby Seale, Dopo la prigione e Anima di ghiaccio di Eddy Cleaver, I fratelli di Soledad di George Jackson, Potere nero di R. Gianmanco, Crisi in bianco e nero di Charles S. Silbermat, Ghetto negro di Kenneth B. Clark, Nel ventre del mostro di Angela Davis, e altri. Attraverso queste ricerche ci siamo fra l’altro resi conto che i movimenti neri di ispirazione sia marxista che nazionalista hanno recentemente privilegiato il terreno elettorale locale e il lavoro sociale, modificando così le linee politiche precedenti della lotta degli afroamericani: la grande, violenta ribellione dei ghetti neri degli anni ’66-’68, una rivolta sanguinosa di cui molte città americane, soprattutto New York e Detroit, portano ancora tracce vistose (edifici bruciati, negozi sventrati, muri abbattuti di case che i padroni hanno deciso di non riparare) ».

Come situeresti Sistemo l’America e torno nella tua carriera di autore, soprattutto sul piano della ricerca linguistica?

    «”Autore” e “ricerca linguistica” mi sembrano – nel mio caso – appellativi eccessivi e sproporzionati’ Noi registi facciamo il nostro lavoro, con tenacia e con pazienza, da professionisti, o da artigiani, o da, come si dice, “operatori culturali”, con tutti i nostri limiti e le nostre carenze individuali e subendo, di volta in volta, e a vari livelli, molte influenze negative e spesso pesanti condizionamenti. “Ricerche linguistiche”, mediamente, ne facciamo ben poche e nella maggior parte dei casi siamo ben poco “autori”. Questa non è falsa modestia: è soltanto consapevolezza del ruolo nel quale la situazione ci confina, capacità di auto-collocarsi. Ad esempio, Sistemo l’America e torno vorrebbe essere un film antirazzista. Però io temo che non lo sia fino in fondo. Anzi temo che sia, per certi versi, addirittura razzista. Cerco di spiegarmi meglio; penso che occuparci di razzismo in certi modi, cioè senza inglobarlo nella critica di fondo alle forme sociali-statali che lo generano occultandone le cause classiste, sia un’operazione riduttiva de fenomeno e possa provocare addirittura risultati involontariamente razzisti. E poi: forse i film che facciamo, altamente convenzionati, artificiali, dominati da meccanismi stereotipati di gag, di espedienti, di scaltri ritardi emotivi, tutti tesi ad ottenere effetti spettacolari, cioè incassi, non sono anch’essi razzisti? Sicuramente – Utilizzati da un mercato che con gli alti prezzi dei biglietti emargina milioni di potenziali spettatori solo perché meno abbienti – se non film razzisti, sono film classisti. Direi, sempre schematizzando, che qualcuno di noi oggi sa come il cinema non dovrebbe essere fatto (e ci sono molti esempi, troppi). Ma non siamo ancora capaci di lavorare per un altro cinema ».

La tua presenza nel cinema italiano?

    « Non ho opinioni personali. Condivido pienamente, e non per mera disciplina associativa ma per profondo convincimento, le analisi e la linea politico-culturale dell’Associazione Autori Cinematografici Italiani, peraltro molto vicina alle posizioni del Sindacato Critici Cinematografici, delle associazioni culturali di base, delle organizzazioni del pubblico, dei sindacati e dei partiti di ispirazione laica e democratica ».

Gli orientamenti principali?

    « Vertono su: soppressione dell’istituto della censura amministrativa e preventiva; soppressione o modificazione degli articoli del codice penale concernenti i delitti di opinione e il cosiddetto reato di vilipendio; revisione globale di tutta la materia legislativa e dell’atteggiamento dello Stato nei confronti del cinema, secondo nuove interpretazioni e nuove applicazioni dei concetti di “pubblico” (da considerare titolare di tutti i diritti di libera comunicane), di cinema “di qualità”, del rapporto tra Stato e Cinema e tra Stato e Governo, e di tutte le molteplici, articolate connessioni tra problemi generali della comunicazione sociale e problemi del cinema ».

Pubblicazioni di riferimento: Cineforum (AA. e Nrr. VV.), Filmcritica (AA. e Nrr. VV.), Positif (AA. e Nrr. VV.), Chaiers du cinéma (AA. e Nrr. VV.), Bianco e nero (AA. e Nrr. VV.), 7 domande a 49 registi di Gian Luigi Rondi (SEI Ed.). 

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