L’ITALIA DI FINE SECOLO

Decadenza della politica e di un cinema diviso tra Oscar e crisi

1980: l’Italia, pur con molte ammaccature, pare aver superato ogni turbolenza della decade che l’ha precorsa, contestazioni comprese, terrorismo compreso, compresi i fermenti sociali e la crisi economico.

    Pare, se ti fermi all’apparenza, ossia il rambismo, lo yuppismo, l’opportunismo… In anni così patinati. E feticisti. E narcisisti. Anni in cui capisci che il Paese è quello che è sempre stato: conservatore. Anni “di un modello imposto con una violenza e una coralità stupefacenti”. Anni di grande truffa, la peggiore: quella di “far passare per fine delle ideologie la vittoria di una ideologia sulle altre. L’ideologia della way of life occidentale tutta consumi e produttività”. Anni in cui “hanno incartato la merda con un’arte prodigiosa”, che son parole di Michele Serra datata fin de siècle. Gli Ottanta del benessere che t’ammoscia, sì: e la TV che già ti rimbambisce, e Craxi che t’abbaglia e t’incanta, come – sia pur per poco – t’abbaglierà e incanterà il suo patrocinato cavalier Berlusconi, nel decennio prossimo venturo. Gli Ottanta di Pertini, la morte di Nenni e Berlinguer, la strage di Bologna, le Br di nuovo in scena, eppoi gli spari di Agca al papa, Gelli, e la P2, Calvi sotto il ponte dei Frati Neri, il Mundial, l’omicidio Dalla Chiesa, la Borsa ultimo totem. Fini segretario dell’Msi e Occhetto del Pci, mentre sullo sfondo internazionale ci sono Reagan e la Thatcher, Mitterand e Kohl, Gorbaciov e Bush senior, ma anche Solidarnosc, Sabra e Chatila, Chernobyl, l’Intifada, Tienammen, il ritiro dei russi dall’Afghanistan, il crollo del Muro… E i Novanta figli non zigoti dell’altra decade: col Pci che diventa Pds, la Lega, la morte di Falcone e Borsellino, il ciclone Mani Pulite, la svolta a destra del Cavaliere, l’Ulivo al governo, mentre già s’è snodato il conflitto del Golfo, e Rabin e Arafat – mediatore Clinton – han firmato la pace di Washington, e poi sarà guerra in Bosnia, e Ciampi salirà al Quirinale, e le Br ammazzeranno D’antona, e il potere russo andrà a Putin

    I Novanta del cinema, ma anche del computer e degli effetti digitali, “il che non sarà mai una conquista se farà dimenticare la capacità di fermarsi e di guardare gli uomini e le stelle” (George Lucas, regista della saga di Guerre stellari)… I Novanta d’un cinema messo in crisi dalla TV e dall’esiguità dei talenti, ché se togli Bertolucci e i suoi ripetuti exploit, e l’Oscar ’89 a Tornatore per Nuovo cinema Paradiso, ’92 Salvatores per Mediterraneo, ’99 a Benigni per La vita è bella, sulla breccia della qualità non trovi un granché. Scola con La famiglia, Monicelli con Speriamo che sia femmina, Olmi La leggenda del santo bevitore, forse Moretti con Palombella rossa e poco più.

    Ed io, che di cinema m’ero occupata per un paio di lustri, eppoi ero passata ad altro, sia pure con non sporadici “strappi”, proprio sul finire degli Ottanta incontrai Vittorio Gassman. Che, nel cosmico pessimismo che lo dilaniava, mi parlò di morte: di se stesso, in primis, ma implicitamente altresì di ciò che gli aveva alimentato il compare: il teatro e il cinema, appunto.

LINA COLETTI

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