L’ITALIA DEI CONFLITTI

Nevrosi borghese, protesta operaia, passioni delle nuove generazioni

Verso la metà degli anni Sessanta un’indagine collettiva di eminenti sociologi asseriva che i giovani non avevano grosse pulsioni ideali, badavano al sodo, alle “3 emme”, come si sintetizzava in modo oltraggiosamente banale, ossia “macchina, moglie, mestiere”.

    Il ’68 era alle porte e quella ricerca – peraltro serissima – suona a perenne monito dei rischi connessi con ogni interpretazione del futuro anche prossimo. Altro che domestici acquietamenti: per un decennio abbondante, la società sarebbe stata spezzata da un’ondata di conflitti. Il giudizio storico non s’è mai chiuso, ma qualche distinzione è possibile farla. Ci fu una grande rivolta generazionale. Con Eugène Ionesco che, non senza qualche ragione, urlava, da una finestra del Quartiere Latino, ai barricaderi studenti parigini del maggio ’68: “Entro cinque anni saremo tutti dei notai“. Ma la grande rivolta giovanile non si può ridurre a spoils system rivolto contro il tappo del “potere grigio”. Come non si può inquadrare – successe spesso allora, ma è facile non ripetere l’errore col senno di poi – negli schemi della lotta di classe cara alla sinistra marxista. Certo, ci fu anche questo – soprattutto in Europa – e con forza. In un cocktail dalle mille varianti, secondo le dosi aggiunte di terzomondismo, culture alternative (minoranze, magari non in senso quantitativo, come si può dire delle donne) fino ad allora reiette, tabù consolidati in due secoli di rivoluzione borghese da infrangere e via manifestando per le mille ragioni che, in quegli anni, ci hanno portato in piazza. Anche se, magari, la vera rottura storica – fra qualche decennio – sarà spostata in avanti, alla caduta del Muro nell’89… Certo, scorrendo le cronologie i numeri degli anni si caricano di simboli.

    Nel ’68: viene ucciso Martin Luther King, i Vietcong bombardano Saigon, anche Bob Kennedy viene ammazzato, le barricate a Parigi, i sovietici stroncano la Primavera di Praga. Nel ’69: il primo uomo mette piede sulla luna, Nell’isola di Wight si tiene un festival epocale, piazza Fontana apre la stagione del terrorismo in Italia. E, nel ’70: l’Italia-Germania 4 a 3, Allende vince in Cile, in Italia approvata la legge sul divorzio. E ancora, convulsamente: maggioranza (o minoranza) silenziosa, Valpreda, Feltrinelli, Calabresi, strage a Monaco, Ultimo tango a Parigi, Watergate, golpe in Cile, morte di Picasso, la crisi petrolifera difficile da decifrare. Poi le Br e i primi sequestri, le TV e le radio private, le vittorie elettorali del Pci, la morte di Pasolini, Porci con le ali, la guerriglia nel cuore del “potere rosso” a Bologna, il “nostro omicidio quotidiano”, il compromesso storico e il rapimento Moro, Pertini, il 7 aprile, il riflusso… Diciamo, comunque, che sono gli anni “del nostro sconcerto”. Affascinanti perché rimandano al tempo che fu ma obiettivamente terribili nel groviglio di consapevoli menzogne, illusioni autoimposte, sacralizzazioni incoffessate. Come spiegò Paul Nizan, a nessuno è lecito far passare i propri vent’anni come il tempo migliore della vita. I forti ventenni degli anni Sessanta e Settanta, secolo ventesimo, tentarono di ribaltare il concerto. E, a volte, perseverano.

ENRICO MANNUCCI

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