LEO GULLOTTA: UN TALENTO MUTEVOLE E ISTRIONICO AL SERVIZIO DELL’ARTE

Nasce il 6 gennaio 1946 Leo Gullotta. Ultimo di sei figli, matura le sue prime esperienze nel mondo dello spettacolo come comparsa al Teatro Bellini di Catania. Poi la svolta.

Appena adolescente, agli inizi degli anni Sessanta, Gullotta legge un pezzo dell’Adelchi di Alessandro Manzoni durante un provino per il C.U.T (Centro Universitario Teatrale) di Catania. Inizia così a recitare allo Stabile dove vi resterà per dieci anni lavorando a contatto di grandi maestri come Ave Ninchi, Salvo Randone e Turi Ferro e prestando il proprio talento a pregevoli pièce del calibro di Morti senza tomba (1960) di Jean-Paule Sartre, Zio Vanja (1965) di Anton Cechov, L’avaro (1966) e Il malato immaginario (1967) di Molière e l’Enrico IV (1968) di Luigi Pirandello. Un amore viscerale per il teatro quello di Gullotta. Suoi, soprattutto, i maggiori incassi del teatro italiano degli ultimi anni al Teatro Eliseo di Roma, per la regia di Fabio Grossi (Le allegre comari, Sogno di una notte di mezza estate, Prima del silenzio, Spirito allegro e Pensaci Giacomino).

A partire dagli anni Settanta, Gullotta prende parte anche a produzioni televisive di livello. Celebre, in tal senso, il sodalizio ventennale con Pier Francesco Pingitore tra fiction, varietà e regie teatrali iniziato con Sogni di gloria (1986) e conclusosi con Gabbia di matti (2008). La carriera televisiva di Gullotta, mutevole come il suo talento, lo vede ai nastri di partenza delle fiction La missione (1998), Cuore (2001) e Il bell’Antonio (2005) di Maurizio Zaccaro, Operazione Odissea (1999) di Rossella Drudi e Claudio Fragasso e Il cuore nel pozzo (2005) di Alberto Negrin.

Ma è soprattutto il cinema ad avergli dato le maggiori fortune. La sua mimica irripetibile lo rende un caratterista – ora comico, ora drammatico – eccellente e apprezzato da critica e pubblico. Dopo alcune pellicole di rodaggio come La soldatessa alla visita militare (1977) di Nando Cicero, Squadra antitruffa (1977) di Bruno Corbucci, è Nanni Loy a fargli fare il salto di qualità scritturandolo in Café Express (1980), Testa o croce (1982) e Mi manda Picone (1983); pellicola, quest’ultima, con cui vince il Nastro d’Argento al miglior attore non protagonista. Nella metà degli anni ottanta invece l’incontro con il regista Giuseppe Tornatore gli darà la notorietà internazionale e la definitiva consacrazione artistica. Un sodalizio avuto inizio con Il camorrista (1986) e il David di Donatello per il miglior attore non protagonista per il “suo” Commissario Iervolino per proseguire con il premio Oscar al Miglior film straniero 1990 de Nuovo Cinema Paradiso (1989), L’uomo delle stelle (1995) e Baarìa (2009).

Nei successivi trent’anni la sua ricca filmografia lo vede distinguersi tra La scorta (1993) e Il padre e lo straniero (2010) di Ricky Tognazzi, Il carniere (1997) e Un uomo perbene (1999) di Maurizio Zaccaro (che gli valgono due David di Donatello come miglior attore protagonista), commedie leggere e spensierate come Selvaggi (1995) e In questo mondo di ladri (2004) di Carlo Vanzina, L’ora legale (2017) di Ficarra e Picone e Sono solo fantasmi (2019) di Christian De Sica, sino al marcatamente drammatico Vajont (2001) di Renzo Martinelli. Pellicola, quest’ultima, che gli varrà il Ciak d’oro e il Nastro d’argento al miglior attore non protagonista; nonché l’ennesima nomination al David di Donatello (senza vincere stavolta).

Parallelamente Gullotta s’è saputo imporre come uno dei più preziosi doppiatori che la scuola italiana ha saputo offrire. Sua la voce di Burt Young nel film Rocky (1976), di Joe Pesci in C’era una volta in America (1984), Moonwalker (1988), Mio cugino Vincenzo (1992) e The Irishman (2019) e di Roman Polanski nel tornatoriano Una pura formalità (1994). Ha inoltre prestato la sua voce al computer Edgar di Electric Dreams (1984), al celeberrimo robot Numero 5 di Corto circuito (1986), ma soprattutto della recluta indisciplinata – e un po’ matta – Zed (Bobcat Goldthwait) in Scuola di Polizia 3 – Tutto da rifare (1986) e Scuola di Polizia 4 – Cittadini in… guardia (1987). Dal 2012 è anche il doppiatore ufficiale di Woody Allen da To Rome with Love (2011), prendendo il testimone da Oreste Lionello morto nel 2009.
Tra questi ruoli più o meno celebri, il più importante – se così lo possiamo definire – è quello mancato di Pino Puglisi della fiction RAI Brancaccio (2001). Gullotta, già attore consumato e riconosciuto a livello internazionale, sembrava essere il volto ideale per dar vita al celebre prete militante vittima dell’odio mafioso. All’ultimo – e contro ogni pronostico – la spuntò il celebre comico Ugo Dighero. Secondo quanto rivelato da Gullotta nel 2012, il ruolo gli fu negato non per demeriti artistici, ma per via del suo orientamento sessuale. Nel 1995 infatti, alla rivista Rome Gay, fece coming-out dichiarandosi omosessuale e felicemente fidanzato con il giornalista Alessio Orsingher (con cui si è unito civilmente nel 2017 dopo 32 anni di relazione).

La notizia del coming-out fece si scalpore per l’effetto sorpresa ma non da generare indignazione; o da danneggiarlo pubblicamente. A pensarla diversamente erano però i dirigenti della RAI che espressero un dissenso “violento” dinanzi alla scelta di vederlo con le fattezze di Puglisi. Qualcosa di simile capitò anche al britannico Rupert Everett che vide la sua carriera da sex-symbol sciogliersi come neve al sole dopo il coming-out negli anni Novanta. Oggi, fortunatamente, sono solo giorni lontani e bui. Gullotta vive una carriera prospera e ricca tra cinema, teatro e televisione saputasi costruire negli anni con sacrificio e devozione verso l’arte in tutte le sue forme.

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