LA PREMIERE ITALIANA DE “LE SAMOURAÏ” (1968) DI MELVILLE

Il 29 febbraio 1968 esce a Roma un film che fa la data del cinema polar-noir francese, ossia Le Samouraï, distribuito in Italia col titolo Frank Costello faccia d’angelo, scritto e diretto nel 1967 dal regista francese Jean-Pierre Melville e interpretato da Alain Delon. 

    È forse uno dei punti più elevati del polar (connubio, alla francese, dei generi poliziesco e noir). In effetti, sin dalla frase che appare all’inizio (“Non esiste solitudine più profonda del samurai, se non quella della tigre nella giungla”) e che spiega il titolo originale (Le Samouraï), è evidente l’ispirazione di Melville, da sempre ambasciatore del cinema americano in Francia a quel modello di “killer esistenziale”, di cui Renato Venturelli (in L’età del noir, 2007) individua il prototipo nel Philip Raven, interpretato da Alan Ladd, in Il fuorilegge di Frank Tuttle, ispirato al romanzo Una pistola in vendita di Graham Greene. (“…non il gangster come esponente della malavita organizzata o comunque come criminale immerso in un preciso quadro sociale, ma assassino solitario che si distacca anche dagli abituali connotati etnici per risolvere il suo tragitto in un personale confronto con la morte”).

    Frank Costello (Jef nella versione originale), killer solitario, uccide su commissione il padrone di un night. Preciso e determinato, si costruisce un alibi inattaccabile costruito in due fasi distinte, grazie anche all’aiuto della sua fidanzata Jane Lagrange (Nathalie Delon). Nel night viene però visto dalla pianista Valérie (Cathy Rosier) proprio dopo avere commesso il crimine. Stranamente lei lo copre, facendo finta di non riconoscerlo durante l’interrogatorio. Frank viene anche aiutato da Jane, che testimonia come i due siano stati insieme nell’orario dell’omicidio, e viene inoltre riconosciuto da Wiener, che così ne conferma l’alibi quale amante di Jane.

    Il film segna l’inizio della collaborazione tra Jean-Pierre Melville e Alain Delon che sarebbe continuata con I senza nome (1970) e Notte sulla città (1972), sino alla morte del regista.

    La tessitura del film è arricchita da riferimenti alla cultura giapponese. Così la sobria e perfezionistica ritualità dei gesti che introducono all’uccisione del gestore del night – ma che rimanda anche al Robert Bresson di Diario di un ladro o di Un condannato a morte è fuggito – o i guanti bianchi indossati da un ineffabile Alain Delon, prima di simulare, con un’arma scarica, l’esecuzione della pianista jazz Valerie e di essere crivellato dai colpi della polizia.

    Da segnalare il contributo di Henri Decaë, direttore della fotografia ed esponente di spicco della nouvelle vague, in questo film notturno, soprattutto nel pedinamento del protagonista negli oscuri anfratti in cui la tigre cerca di sottrarsi alla caccia dei lupi.

    Da ricordare che Frank Costello è un personaggio della criminalità italo americana esistito veramente che operava negli USA collaborando con altri famosi gangster della mafia. La sua biografia vera è molto diversa da quella del personaggio rappresentato in questo film, la cui storia viene trattata molto liberamente e non rispecchia la vita del vero Costello. Di fatto, il personaggio in originale si chiama Jef Costello.

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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