KRAMER CONTRO KRAMER (1979). UNITI NEL FIGLIO, SEPARATI NELLA VITA

“Sogni d’oro. Buonanotte. Non farti mordere dalle pulcette!”
“Ci vediamo quando il sole batte.”
Lo stringe forte a sé Joanna, abbraccia per l’ultima volta il suo Billy (Justin Henry, alla sua prima apparizione cinematografica, nomination agli Oscar per il ruolo di attore non protagonista), prima di chiudere la porta della sua cameretta: l’indomani, al risveglio, quando il sole batterà, la sua mamma non sarà con lui, non gli preparerà il toast alla francese che lui ama tanto: la sua mamma ha deciso di andar via.

    Quanto dolore, quale malessere può albergare nel cuore di una donna per arrivare ad “abbandonare” il proprio figlio di cinque anni appena? È una scelta coraggiosa e sofferta quella di Joanna, un salto nel buio, sbagliata, deprecabile e moralmente inaccettabile al comune ben pensare.

    È più facile supporre che la ragione della sua “fuga” sia da ricercare nella presenza di una terza persona.
“Non ci sarà un altro?” chiede Jim O’Connor (George Coe), direttore generale dell’agenzia pubblicitaria per cui lavora Ted Kramer, preoccupato, dopo avergli affidato la conduzione della trattativa con la Mid-Airlines, che la sua nuova condizione di papà a tempo pieno, possa compromettere la sua resa sul lavoro.

    “Ha una relazione?” è la domanda che l’avvocato John Shaunessy (Howard Duff) pone a Joanna, per poi accusarla di essere stata un fallimento nel rapporto personale più lungo della sua vita, ovvero il matrimonio con Ted.
Sola e infelice, così la definisce la sua migliore amica Margareth Phelps (Jane Alexander), si è sempre sentita “di qualcuno”: moglie, mamma, figlia. Alla ricerca di uno sfogo emotivo e creativo al di fuori delle mura domestiche e di Billy, non trova conforto nel marito, troppo occupato con il suo lavoro e troppo concentrato su se stesso per accorgersi del malessere di Joanna, per comprendere i suoi silenzi: ha sempre pensato che ogni volta che lui fosse felice dovesse esserlo anche lei (colpevole, andando via, di avergli rovinato uno dei tre più bei giorni della sua vita!)
Sola, seppur circondata da quelli che dovrebbero essere gli affetti più cari, Joanna, ormai a pezzi, realizza che l’unica soluzione per ritrovare se stessa e la sua identità, sia andarsene.

    La sua assenza, durata 18 mesi – da mamma, lo ammetto, lo trovo inverosimile – si trasforma per Ted in una opportunità: dopo la rabbia iniziale, lo smarrimento, giorno dopo giorno costruisce un rapporto ex novo con il figlio, fatto di piccoli gesti quotidiani: Billy lo sveglia, apparecchia la tavola, fanno colazione insieme, quotidiano e fumetto, lo accompagna a scuola, e se la prima volta non esiterà a lasciarlo davanti al portone di ingresso affidandolo ad una sconosciuta, per poi prendere un taxi per l’ufficio, successivamente il tragitto casa scuola sarà un’occasione per parlare, per raccontarsi, per ridere, e soltanto dopo avergli dato un bacio, si allontanerà; ogni sera lo addormenta, leggendogli un libro nella sua cameretta con le nuvole, che Joanna aveva dipinto alle pareti, lo accompagna alle feste, va alle riunioni dei genitori, gli insegna ad andare in bicicletta e con entusiasmo lo segue con lo sguardo mentre pedala ormai sicuro di sé, sacrifica il lavoro, trascorrono i pomeriggi al parco insieme a Margareth e sarà lì, che, sbilanciandosi dalla gabbia mentre tiene in mano un aeroplano, Billy, cadendo, rischia di perdere un occhio: episodio questo che l’avvocato di Joanna userà per dimostrare l’inaffidabilità di Ted. Sì, perché, dopo più di un anno, lei torna a New York e si dice pronta a prendersi cura del proprio figlio, dopo mesi di analisi e con un impiego da 30.000 dollari l’anno, a dispetto del marito che, che sovente la scherniva che mai avrebbe potuto trovare un lavoro che le
garantisse una retribuzione sufficiente a pagare una babysitter, e, come è consuetudine, al termine della causa, il bambino viene affidato alla madre.

    Le parole di Ted dovrebbero essere monito, spunto di riflessione per chi si trova a dover decidere: quel che conta davvero è il bene del bambino! E se una donna ha il diritto ad avere le stesse ambizioni di un uomo, “quale legge dice che una donna è un genitore migliore in virtù del suo sesso? (…) cos’è che fa un buon genitore? È qualcosa che ha che fare con la costanza, la pazienza, che ha a che fare con l’ascoltarlo o col fingere di ascoltarlo, se ti manca anche la forza di ascoltare, ha a che fare con l’amore? (…) non so dov’è scritto che una donna ha l’esclusiva, il monopolio e che un uomo difetta di certi sentimenti che ha la donna!”

    Sebbene le parole di Ted non sortiranno alcun effetto sul parere del giudice, a causa vinta, sarà proprio Joanna, a rinunciare, nel suo ultimo estremo sofferto atto d’amore verso Billy.

    “Ero venuta qui per portare mio figlio a casa da me e mi sono resa conto che era già a casa.” Meryl Streep, sul viso ancora i segni del dolore per la recente scomparsa del compagno John Cazale (1978), è Joanna, moglie e mamma infelice, decisa a non rassegnarsi a vivere una vita che non le appartiene, ruolo che le consegna il suo primo Oscar, e Golden Globe nel 1980, per attrice non protagonista, in Kramer contro Kramer, pellicola del 1979 (Oscar per il miglior film) ispirata al romanzo di Avery Corman del 1977, per la regia di Robert Benton (Oscar per la migliore regia e miglior sceneggiatura non originale), ancora oggi attualissima, affronta il doloroso tema della separazione e dell’affidamento dei figli, da un’altra prospettiva, quella di uomo dedito alla carriera che si riscopre, inizialmemente suo malgrado, padre! Dustin Hoffman è Ted Kramer (Oscar miglior attore protagonista, Golden Globe per il migliore attore in un film drammatico).

    Uscito nelle sale il 19 dicembre 1979 (la première a New York il 17), riceve consenso di pubblico, incassando oltre 105 milioni di dollari a fronte di 8 di spese) e di critica.

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Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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