IL DOTTOR MABUSE (1922) DI FRITZ LANG. LA SOCIETÀ DEL CAOS E LA TIRANNIA DEL MALE

Mabuse è un personaggio che ha lasciato un segno profondo non soltanto all’interno della storia del cinema mondiale ma anche, in senso più ampio, nella cultura occidentale. Per questo dono dobbiamo riconoscere la sua paternità a Fritz Lang, l’uomo che ha saputo “strapparlo” dalle pagine di un romanzo, il Dr. Mabuse, der Spieler (1921) che Norbert Jacques diede alle stampe nel 1921, il cineasta che, forse più tra tanti altri, ha incarnato la creatività e il desiderio di fare sì che il cinema fosse l’arte sintesi di tutte le altre arti che la precedettero.

    Siamo nel 1922 nella Germania della Repubblica di Weimar, un periodo ricco di fermenti artistici e culturali di grande peso in cui si respira un’aria di riscatto sociale, di fiducia verso il futuro ma anche di malcontento popolare dovuto alla forte crisi economica che il Paese è costretto ad affrontare in seguito alla pesante sconfitta subita dalla Grande guerra, dalla quale ne uscì fortemente indebolito non solo da un punto di vista politico ed economico ma anche culturale.

    L’espressionismo fu l’avanguardia che, più tra quelle a lei contemporanee, seppe trovare proprio nella settima arte, allora molto in fieri nei suoi canoni e nei suoi più intimi caratteri fondanti, il luogo aperto e prescelto per la trasposizione “per immagini” di quella voglia di analizzare la società tedesca non limitandosi al desiderio di poter esprimere il proprio personale punto di vista con una certa libertà d’espressione sia contenutistica ma anche prettamente artistica. Tutto ciò per un uomo come Lang rappresentò, sin da subito, un terreno fertile in cui inserirsi come cineasta e, seppure per certi punti di vista fosse ancora alle sue “prime armi”, egli sapeva già cosa fare.

    Un preambolo importante che ci conduce direttamente nell’atmosfera inquietante ed oscura del film Il dottor Mabuse (Dr. Mabuse, der Spieler) (1922), opera che rappresenta uno dei capolavori più riusciti non solo di Lang, accanto a Metropolis (1927) e M – Il mostro di Düsseldorf (M – Eine Stadt sucht einen Mörder) (1931) , ma il primo grande film muto, opera “pesante” anzitutto per via della sua durata pari a 270 minuti, cosa che costrinse il regista a dividerlo in due parti: Dr. Mabuse, der Spieler. Erster Teil: Der große Spieler. Ein Bild der Zeit (Dr. Mabuse, il giocatore. Parte I: Il grande giocatore. Un quadro dell’epoca) e Dr. Mabuse, der Spieler. Zweiter Teil: INFERNO. Ein Spiel von Menschen unserer Zeit (Dr. Mabuse, il giocatore. Parte II: INFERNO. Un dramma di uomini della nostra epoca).

    Ma Mabuse rappresenta anche un’opera di una vasta profondità di contenuti e sperimentazione tecnica; se da un lato, infatti, incarna talune tematiche proprie dell’espressionismo, quali il ricorso all’occultismo, allo spiritismo, alla parapsicologia carica di ipnotismo e suggestioni spirituali provenienti dal mondo orientale, dall’altro lato, però, il film rappresenta il simbolo di quella scienza che Freud aveva lanciato nella sua rivoluzione di prospettiva universale rappresentata dalla scoperta dell’inconscio, unico vero protagonista della vita dell’uomo, già di suo predestinato nei fatti, sin dalla sua nascita e, da un altro punto di vista, la consapevolezza che al male, insito nella psiche dell’uomo, non vi è rimedio se non con un male peggiore.

    Lo stesso Fritz Lang incluse questa pellicola tra i film fantastici da lui considerati “documentari”: si tratta, però, al di là della trama, di un sapiente artificio retorico che permette al regista di dimostrare lo spirito e la sostanza della Germania di Weimar , dipingendone come un quadro sublimato e stilizzato la realtà del mondo del commercio, delle bische, degli studi psichiatrici, dei salotti mondani e delle sedute spiritiche, molto praticate in quegli anni.

    In Mabuse ritorna in primo piano il tema della follia, grande protagonista dell’universo tematico proprio dell’espressionismo, ma con toni cupi e accesi rappresentati dagli occhi spiritati, ipnotici, carichi del male, della perfidia e della cattiveria di Mabuse, magistralmente interpretato da Rudolf Klein-Rogge. Ad oggi potremmo pensare che costui abbia avuto un grande coraggio nell’aver dato il suo volto ad uno dei personaggi destinati a diventare il simbolo del male in tutta la storia universale della settima arte. Forse egli stesso ne ebbe, già da subito, piena consapevolezza prestandosi non solo ad incarnare l’eroe “negativo” della società del suo tempo, quasi approcciabile alla figura di un mostro dai repentini cambi di identità, vero tratto originale di questa pellicola sia per quello che concerne il peso concettuale di un’identità multipla e psicologicamente complessa, incarnata dal personaggio stesso, ma anche per gli espedienti strettamente più tecnici legati ad un accorto uso dei trucchi e del make-up, uniti a parrucche e altri accessori posticci, che largo successo avrebbero avuto nel cinema occidentale degli anni a venire.

    Per quello che riguarda la trama ruolo importante assume la sua complessa sceneggiatura, alla cui stesura collaborarono, oltre allo stesso Lang, sua moglie, Thea von Harbou, e lo stesso autore del romanzo omonimo da cui si è ispirata la pellicola, Norbert Jacques. Da una prima analisi possiamo definire Mabuse come un thriller in cui si respira un clima da film poliziesco ma, contemporaneamente, anche quel mito del superuomo che molto stava caratterizzando l’ambiente colto ed intellettuale dei salotti di Weimar. Ruolo importante vi assumono gli interni particolarmente ispirati allo stile déco, molto in voga negli anni Venti, soprattutto nella Mitteleuropa anche se in talune scene si può anche riconoscere l’impronta dello stile proprio della “Secessione viennese”. La realtà urbana, tanto cara allo stesso Lang soprattutto nelle opere posteriori a Mabuse, è ripresa nella sua essenza caotica fatta di macchine, di folle di uomini, di acceso dinamismo. Vi si possono individuare molti dei canoni espressivi propri del cinema espressionista evidenziati nel marcato uso degli effetti chiaroscurali, usati soprattutto nel rappresentare i processi psicologici dei personaggi ma anche nel ricorso alle immagini ingrandite e deformate, nelle scene notturne e nelle didascalie.

    Ma il marchio di appartenenza alla corrente artistica espressionista di questa pellicola la si deve principalmente ricondurre alle tematiche presenti e che appaiono chiare nella sua trama in cui ruolo preminente assume la tematica della manipolazione degli individui e della realtà; si tratta di uno dei valori cardini che sta alla base dell’agire del dottor Mabuse, folle criminale che si nasconde nei panni di uno “strano” psicanalista animato dalla brama di potere sulle persone e sulle cose. Potremmo definirla più semplicisticamente come ricchezza ma qui il campo semantico di questo termine viene ampliato al di là del piano materiale del possesso di cose fisiche fine a sé stesso. Per Mabuse la ricchezza è la prima molla di quel potere di controllo di tutta la realtà che lui ha tanto desiderato. Nella prima parte del film (Dr. Mabuse, il giocatore. Parte I: Il grande giocatore. Un quadro dell’epoca), entrano in scena tutti i personaggi fondamentali della storia, vere spalle che affiancano il protagonista incarnando, di volta in volta, anche i sentimenti positivi quali l’amicizia e l’amore, contro i quali combatte lo stesso Mabuse.

    L’incipit vede il protagonista che commissiona il furto di un contratto commerciale causando il crollo dei valori olandesi nella borsa e la possibilità che lo stesso possa far speculazione ed acquistare tanti titoli per poterli rivendere, in un secondo momento, operazione che gli causa una grande ricchezza. Ed è qui che si realizza proprio quella conditio sine qua non che gli permetterà di portare avanti i suoi piani diabolici tra i quali fondamentale è mettere fuori gioco, annientandole, tutte quelle persone che possono ostacolarlo, limitandone il suo potere di controllo delle menti. In questo ruolo importante assume sia nella prima parte che nella seconda (Dr. Mabuse, il giocatore. Parte II: INFERNO. Un dramma di uomini della nostra epoca) il pubblico ministero Norbert von Welk (Bernhard Goetzke), il primo ad aver intuito la cattiveria oltre che il potere di controllo delle menti che Mabuse mette in atto attraverso l’uso dell’ipnosi e del magnetismo indotto. Coadiuvato da alcuni suoi collaboratori tra i quali grande peso hanno una donna, Cara Carozza (Aud Egede Nissen), personaggio emblematico, ballerina e devota amante di Mabuse che da complice finirà vittima dei suoi piani, Spoerri (Robert Forsyer-Larrinaga), segretario cocainomane, personaggio ambiguo, a metà strada tra la complicità col “mostro” malefico fino al punto di diventare la sua ombra, ancor più inquietante dello stesso dottore ma che poi, causa la sua fragilità, finirà per tradirlo aiutando il pubblico ministero nella sua cattura. Ma il centro attorno cui ruota buona parte della prima e tutta la seconda parte del film è rappresentato dalla contessa Dusy Told (Gertrude Welcker), la vera preda dei desideri dello psicanalista. È di lei che l’uomo si innamora perdutamente e, seppur non ricambiato dalla donna, architetta un piano per rapirla e fuggire con lei non prima, però, di far fuori il conte Told (Alfred Abel), marito di Dusy ed, ovviamente il suo rivale antagonista, von Welk. Ma Mabuse non riuscirà a portare a termine il suo piano e finirà per cedere, senza alcuna resistenza, ai fantasmi dei suoi collaboratori morti per i suoi malefici desideri di ricchezza e potere abbandonandosi alla follia la quale si rivela, ancora una volta, l’unica vincitrice del triste destino di buona parte del genere umano che in Mabuse si avvicina per carattere ed aspirazioni.

    Da un primo punto di vista concettuale il Mabuse che Fritz Lang è riuscito a lasciare alle future generazioni è uno specchio in cui appaiono limpidi i meccanismi mediante i quali il male si insinua nella società portando a termine i suoi progetti di caos e distruzione. Maccanismi che, nella pellicola, appaiono chiari in diverse parti ma soprattutto nell’acceso conflitto a fuoco da guerriglia urbana che vede fronteggiarsi la polizia, rappresentante suprema della Giustizia, del Bene e della Legalità, contro gli “scagnozzi” complici di Mabuse; qui Lang si mostra di gran lunga proiettato nel futuro della settima arte per il dinamismo delle scene, concitate e ricche di suspense come nei migliori polizieschi del grande schermo. Ma quello che Lang riesce bene a rappresentare mediante questa pellicola è la causa del male e, più in generale, dei mali della società rappresentata, soprattutto in quel periodo storico particolare quale furono di anni Venti del Novecento, dal sentimento di noia e insoddisfazione che muove persone di un certo livello culturale ed anche sociale, qual è la contessa Dusy Told, ad avvicinarsi allo spiritismo, all’ipnotismo, discipline delle quali si ritrovano improvvisamente vittime.

    Il film, già dopo la prima proiezione della prima parte avvenuta a Berlino l’Ufa-Palast am Zoo il 27 aprile 1922 e la seconda parte proiettata il 26 maggio 1922, sempre nello stesso luogo, ebbe un gran successo di pubblico ma soprattutto di critica e permise allo stesso regista di farsi notare anche dagli ambienti politici più influenti della Repubblica di Weimar della quale egli riuscì a rappresentare, proprio tramite Mabuse, i disordini sociali, le guerriglie, i salotti raffinati in cui si ascoltava musica jazz sniffando cocaina in compagnia di prostitute di alto rango. Una società profondamente divisa al suo interno che l’espressionismo riuscì bene a rappresentare nei suoi canoni tra cui posto rilevante è assunto dalla ricerca del bizzarro, di ciò che è strano e fuori da ogni logica spaziale e razionale.
E, forse, ieri come oggi, all’interno della nostra realtà attuale, possono ancora risuonare familiari le parole del Mabuse di Lang: “L’espressionismo è solo un gioco, ma oggigiorno tutto nella vita è solo un gioco”, una frase che va ben al di là delle sue parole poiché ci invita ad inventarci nuovi occhi per saper vedere sempre qualcosa di unico nel mondo in cui viviamo senza necessariamente perdere di vista la presenza del male, sempre pronto a colpire i più fragili, e la necessità di affidare al bene, alla giustizia ed all’amore le chiavi del bene vivere nella nostra società.

    Dopo Weimer, la trilogia che Lang rivolgerà a Mabuse includerà Il testamento del dottor Mabuse (Das Testament des Dr. Mabuse) del 1933 – in pieno regime nazista e Lang esule in Francia – ed, infine, a completamento del trittico, Il diabolico dottor Mabuse (Die 1000 Augen des Dr. Mabuse), ambientato in un’algida Berlino Ovest del 1960, in piena Guerra fredda.

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