DAVID CRONENBERG. L’ORRORE È DENTRO DI NOI

David Cronenberg è il maestro più maturo, sottile, originale dell’horror contemporaneo, quello che ha percorso in solitudine la strada che conduce dall’esplosione sanguigna dei corpi alla mutazione interiore, minacciosa e intraducibile in effetti speciali.

    Due aspetti dell’orrore e della paura cinematografica imprescindibili l’uno dall’altro: la sensibilità di Cronenberg, la “marcia in più” che ha rispetto alla maggioranza dei registi suoi contemporanei, è dimostrata proprio dall’armonia con cui si è mosso dal cinema delle sensazioni visibili a quello delle più oscure ambiguità psicologiche, senza soluzione di continuità, senza negare i temi e gli incubi più evidenti che avevano caratterizzato la prima parte del suo lavoro. Le ossessioni della malattia, dei processi invisibili del corpo, della mutazione e della degradazione della carne, del contagio, sono tutt’altro che dimenticate negli Inseparabili (1988), Il pasto nudo (1991) e M. Butterfly (1993); semplicemente, si sono spostate a un livello più sommerso, traducendosi nell’angoscia primaria e insormontabile del doppio, nei fantasmi sovreccitati dalla creazione artistica, nell’ambiguità melodrammatica della sessualità e della passione amorosa.

    La zona morta (1983), con la sofferenza fisica percettibile di John Smith e il richiamo costante a uno spiazzamento che è prima di tutto psichico, sta al centro dei due momenti, una specie di Scanners (1981) rarefatto e di Inseparabili (1988) drammatizzato con elementi fantastici.

    David Cronenberg è nato a Toronto nel 1943 da una famiglia della buona borghesia. Ha un’infanzia tranquilla; si appassiona alla scienza e alla scrittura. “Ho sempre desiderato scrivere”, ha raccontato. “Mi piaceva il romanzo underground, Burroughs, Henry Miller. E ho sempre scritto; non ricordo un momento della mia vita senza scrittura. Ho scritto il mio primo romanzo da quando avevo 10 anni. Era lungo tre pagine, ma, per quel che mi riguardava, quello era un romanzo”. La lunga malattia e la morte del padre lo impressionano profondamente e influenzano, per sua stessa ammissione, il suo cinema futuro. All’università si iscrive alla facoltà di Scienze, ma dopo un anno passa a quella di Inglese e Letteratura; contemporaneamente, comincia a interessarsi alla tecnica cinematografica e a frequentare la comunità cinematografica di Toronto, e gira i suoi primi corti. A metà degli anni ’60 compie un lungo viaggio in Europa. Dopo un anno torna a Toronto, si laura in Inglese e decide di diventare regista. I suoi primi lungometraggi, Stereo (1969) e Crimes of the Future (1970), sono molto influenzati dalle avanguardie e dal cinema underground americano. E, quando comincia a lavorare nella sceneggiatura del suo primo film commerciale, neppure lui sa che sarà un horror. “Per me scrivere era una cosa naturale. Cominciai a scrivere come avevo fatto per tutto il resto della mia vita; e venne fuori un horror”: Il demone sotto la pelle (1975), esplosione parossistica del contagio e delle sue implicazioni sessuali, interpretato dalla diva per eccellenza dell’horror degli anni ’60, Barbara Steele.

    L’anno dopo, nel 1976, esce Rabid, ancora una storia “epidemica”, interpretata questa volta dalla diva del cinema porno Marilyn Chambers, una scelta ardita e non casuale, visto che l’unica scena nella quale il regista decide di far vedere la “mostruosità” della protagonista (un pungiglione assetato di sangue che si cela in una piaga nella sua ascella) si svolge proprio in una sala cinematografica dove si proietta un doppio programma porno. È chiaro fin da ora che l’horror di Cronenberg si annida anche oltre il livello della pelle e delle dinamiche sociali e familiare (che comunque quasi sempre entrano in gioco nell’orrore cinematografico e letterario): è un horror che si espande al campo della comunicazione, del “vampirismo” cinematografico, perciò della mente umana. Con Brood – La covata malefica (1979), storia tristissima di una gravidanza e di una progenie mostruosa, Cronenberg per la prima volta ha a disposizione due attori noti (Oliver Reed e Samantha Eggar) e fa qualche concessione in più alla narrazione orrori fica tradizionale (il mistero iniziale, i piccoli della “covata malefica”, che ricordano i piccoli mostri quasi contemporanei di Larry Cohen), ma nello stesso tempo approfondisce il tema dei legami indissolubili che uniscono il corpo alla mente.

    Un tema che esplode perfettamente articolato nel 1980 in Scanners, il film che fa scoprire Cronenberg in tutto il mondo e che lo trasforma in un regista di “culto” per il decennio seguente. Un inizio misterioso e agghiacciante, da incubo metropolitano; un eroe condannato alla solitudine e al sacrificio dalla sua diversità; una scienza che sconfina nell’alchimia e crea contaminazioni terribili; telepatia e potere travolgente del pensiero; legami di sangue, principi morali, effetti speciali al limite della tolleranza dell’occhio (la testa che esplode), un finale segnato da una disperata ambiguità. Scanners conquista il pubblico e nel 1982 Videodrome conquista finalmente la critica con la lucidità tremenda della sua riflessione e la provocazione esplicita della sua visione.

Videodrome (un progetto che il regista ha in mente fin dagli anni ’70) è una specie di manifesto teorico del cinema di Cronenberg e della sua visione del mondo, dove la materia organica si mescola indissolubilmente a quella elettronica, le immagini riprodotte inquinano irrimediabilmente la mente, i corpi mutano e si trasformano in “videoregistratori”. Il corpo del protagonista (James Woods, tutto nel segno dell’ambiguità e della sofferenza) riceve la videocassetta nell’addome come fosse stato costruito per questo; le viscere si mescolano alle valvole; il televisore reagisce alle stimolazioni di piacere e di dolore come un essere vivente. Videodrome è estremo e terribile; non piace alla compagnia di distribuzione in un numero ristretto di copie e non lo pubblicizza.

Dopo La zona morta, Cronenberg realizza il suo film più spettacolare, che (almeno fino a oggi) conclude il suo ciclo esplicitamente orrifico. La mosca (1986) costa circa 10 milioni di dollari, ma esce con un grande battage pubblicitario in tutti gli Stati Uniti e il Canada e trasforma Jeff Goldblum e Geena Davis in due divi. Remake di L’esperimento del dottor K., diretto nel’58 da Kurt Neumann e interpretato da Al Hedison e Vincent Price, è più spettacolare e orrifico dell’originale e, contemporaneamente, più concentrato sull’ossessione scientifica del protagonista e sulla storia d’amore. La mosca diventa famoso per la graduale metamorfosi fisica dello scienziato; ma l’interesse di  non è tanto sensazionalistico quanto tecnico, teorico e “filosofico”. Non a caso, subito dopo l’autore filma, in termini del tutto naturalistici e psichici, affidandosi completamente alle atmosfere e alla recitazione degli attori, la mutazione sottile di una mente in un’altra, il progressivo mescolamento delle personalità di due individui: i gemelli Mantle, ginecologi canadesi che si distruggono l’un l’altro per amore, per sofferenza, per l’impossibilità di separarsi. Inseparabili (1988) è il capolavoro di Cronenberg e di Jeremy Irons (finissimo, commovente e angosciante nella parte doppia dei gemelli), un horror rarefatto e raffinatissimo che sfiora il melodramma. E lo sbocco ovvio, dopo il passaggio attraverso gli incubi di Burrough nel Pasto nudo (1991), è proprio un melodramma esplicito, M. Butterfly (1993), dove i generi, le sensazioni, le mutazioni si mescolano, nel nome di una plausibilità che è tutta mentale, dettata dal desiderio. Con Crash (1999) e  eXistenZ (1996) Cronenberg sancisce l’allontanamento dal tema puramente orrorifico virando verso crismi fantasy venati di thriller.

ANTONIO FARINA

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