FRANCESCO ROSI: “ANCHE MATTEI FU UN CORRUTTORE”

Francesco Rosi, I’autore di Salvatore Giuliano e ll caso Mattei, intervistato quando stava ultimando il film tratto da ll contesto di Leonardo Sciascia, Cadaveri eccellenti: ancora un’accusa contro il potere e le sue degenerazioni

Lei esordì nel cinema nel ’42, Rosi: come aiuto regista di Visconti per La terra trema. Uno splendido film: la condizione umana e sociale di una Sicilia non ancora sottratta allo sfruttamento…

    Io ci torno spesso in Sicilia. E tutte le volte mi domando che cos’è cambiato, in fondo, in questo Paese. Sul piano visivo, per esempio. Ecco: sul piano visivo sono certo cambiate le strade. Che erano terreno battuto e fango, erano squallore, erano roba che appena pioveva ti pareva di stare nelle favela intorno a Lima, piuttosto che in una parte d’Italia. E adesso non più: adesso le hanno tutte asfaltate. E hanno dipinto le case. Queste strane vernici che luccicano al sole. Verde caramella, rosa confetto. . . E questi paesini che in blocco si sono impadroniti dei cosiddetti strumenti apportatori d’evoluzione: i juke-box, i frigidaire con la Coca-Cola e i gelatini… Appartengono ai miti del nostro sviluppo e non del nostro progresso, come giustamente sosteneva Pasolini. Perché mica è sicuro che sotto l’asfalto ci scorrano le fogne, lì: è sicuro che mancano le scuole giuste, e gli ospedali, e i campi sportivi… Dice: è anche sicuro che è cambiato l’uomo come individuo, però. Verissimo. Nel senso che, oggi, ha tutt’altra coscienza dei suoi diritti di cittadino. Nel senso che per secoli è stato sfruttato, oppresso, considerato un suddito senza voce, e ha vissuto nei tuguri, e gli è mancata l’acqua, e quando possedeva un piatto di pasta e fagioli già era festa e poi, improvvisamente, attraverso forme d’evoluzione superficiali, gli è nata l’esigenza di altre necessità: improvvisamente ha scoperto che esistono altri diritti. No, non quelli fondamentali solamente: persino a livello di vestirsi meglio, e di lavarsi… insomma: li ha scoperti e li vuole. E siccome chi dovrebbe programmare-incanalare-regolare e controllare le sue esigenze non è invece in grado di farlo, non so da cosa dipenda ma certo non lo è, ecco una disgregazione sociale molto preoccupante… Lo so, lo so: c’è chi sostiene che il cittadino si dovrebbe disciplinare da solo, a questo punto. Ma francamente mi domando come si possa pretenderlo, specie nel Sud. Che cosa gli abbiamo dato, perché si possa disciplinare? Quali vantaggi? Come l’abbiamo premiato? Vede: io sono certo che questi poveri italiani la possiedono, la passione civile. Ma non sanno come incanalarla. Ricapitolando: l’arretratezza del Sud… l’arretratezza del Sud è una realtà ignobile. Com’è una realtà che le colpe di chi ancora lo tiene in stato di soggezione e di sfruttamento sono ben più gravi di quanto non lo fossero, in passato, quelle del clero o della classe padronale più abbietta. l’Italia è fatta di due culture diverse, non c’è dubbio. E la lacerazione fra le due provoca un adeguamento molto caotico a un certo tipo di sviluppo. Nel Sud, ripeto, stanno saltando tutte le contraddizioni, non scaturendo l’evoluzione dalle strutture, restando le strutture così mostruosamente arretrate, così delittuosamente statiche…

Lei su Napoli, sulla speculazione edilizia a Napoli, ha girato Le mani sulla città (1963)

Speculazione non intesa come deturpamento dei paesaggi, ma delle anime, sia ben chiaro. E Napoli è emblematica in questo, così come Palermo, così tanto modificata. Ed anche Agrigento, con questa muraglia che gira intorno senza sbocchi e ti toglie luce e aria. Dunque siamo sempre lì: dunque ancora ti domandi come possa, la società, facendo nascere e poi mantenendo l’uomo in certe condizioni, pretendere in seguito qualcosa da lui…

E La sfida (1958), Rosi? Ambientato a Napoli, anche questo…

Di che cosa parlava La sfida? Con vent’anni d’anticipo, della guerra dei pomodori scoppiata clamorosamente nel luglio scorso. Dello sfruttamento attorno ai mercati generali. Che nel Meridione esiste da sempre, i cimiteri di tutte le città e di tutti i paesi del Meridione traboccano di vittime di queste guerre, e allora sono cose che perlomeno stupiscono, che perlomeno spingono a domandarti com’è possibile non si sia ancora riusciti a far nulla per regolamentare la materia, e dove stanno gli organi di controllo, e che fanno i politici, e chi assicura alla cittadinanza un corretto funzionamento di strutture in grado di creargli o evitargli guai giornalieri… La risposta? Eh, no: io di mestiere faccio il cinematografaro, mica propongo modelli di sviluppo. Nella migliore delle ipotesi sono un testimone del mio tempo, io. E siccome ho questa passione dell’impegno civile, siccome tengo gli occhi aperti sulla realtà… insomma: invece di fare un film nel quale lui e lei si vogliono sposare ma i guai sono tanti e amen, io il “lui” e la “lei” cerco di inserirli in un quadro che corrisponda a una realtà precisa. Per La sfida una certa realtà napoletana, appunto. Napoli è la mia città. Ma che ne sapevo, io, della mia città prima di girare quel film? Poco o niente. Semmai ne conoscevo la superficie, l’epidermide. Ero troppo borghesemente “acculturato”. Troppo borghesemente abituato a sentirmi protetto dai genitori, e dalla scuola. Così decisi di avvinarmici con un’ottica di autenticità. E siccome il “lui” era un fuorilegge, di trattare la storia di lui all’intemo della sua logica, non dall’esterno… Tirarono subito in ballo il cinema americano. Dimenticando che tra i miei film di denuncia e quei film di denuncia la differenza è sostanziale: il cinema americano che è moralistico, e fa la lezione, e cerca di risolvere i problemi a livello individuale, piuttosto che istituzionale:  le istituzioni hanno sempre da essere salvate, nel cinema americano. Semmai sono gli individui che sono cattivi, nel cinema americano. E invece io, lavorando “dall’interno”, mi sono sempre sforzato di dimostrare che, se sono cattivi, magari hanno delle ragioni per esserlo, magari hanno alle spalle istituzioni carenti o contraddittorie… Ricordo proprio La sfida: vedevo i cachi sulla pianta a cinque lire il chilo e al mercato a centodieci…

    Eh, be’: a me abbastanza giovane e abbastanza illuso sull’utilità della denuncia, e della forza d’urto. Insomma: erano cose che mi stimolavano, mi spronavano. Non mi fraintenda non mi illudo che col cinema si possa far politica. Ma contribuire al quadro dell’informazione, sì. E siccome la gente si modifica, o modifica, solo se è informata… Esiste anche la stampa, d’accordo. Quando progettai Il caso Mattei (1972) e ci fu la sparizione di De Mauro, la stampa scrisse tutto ciò che si poteva scrivere con un coraggio unico, encomiabile. Ma il giornale ha vita breve, purtroppo. Ma le inchieste si dimenticano. E il potere ci conta, su questo. Mentre il cinema, no: il cinema resta. Dopo dieci anni, dopo cinquanta… E anche lì ha una funzione autentica. Quasi un avvertimento. «Guardate che i fatti non scompaiono.»

Ricapitolando, Rosi: lei ha parlato dii racket dei mercati generali. E non è cambiato nulla. E di rapporti tra potere edilizio e giochi di partito in Le mani sulla città. E non è cambiato nulla. E ancora di rapporti tra mafia e potere in Salvatore Giuliano (1962) e Lucky Luciano (1973)

    Attenta alla differenza. La “partenza” di Giuliano è una “partenza” classica: il picciotto che ammazza il carabiniere sentendosi vittima di un’ingiustizia. E che poi, inserendosi in un momento storico particolare quale fu il separatismo, viene strumentalizzato. Luciano, invece, anche strumentalizza. Finché mafia e potere non decidono altrimenti, almeno…

Resta Il caso Mattei. Il rapporto fra potere e petrolio, questa volta. Lei ha detto: «Non rifarei il film: semmai lo continuerei»…

    Certo. Perché bisogna domandarsi che cos’è successo, dopo Mattei. Mattei accusato di corruzione… D’accordo: Mattei era un corruttore. Che piegava uomini e gruppi politici al suo disegno. Ma quelli che sono venuti dopo di lui? Be’: quelli non hanno nemmeno avuto “disegni”; hanno avuto solo interessi. Mattei che costituiva una spina nel fianco dell’establishment democristiano: e quelli dopo, no? Insomma: l’opera di corruzione avviata da Mattei che è poi degenerata. Anzi, si potrebbe dire che ha fatto scuola.

È la materia del suo ultimo film, Rosi. Quel Cadaveri eccellenti tratto da Il contesto di Sciascia che parla di regime traballante costretto a congiurare per sopravvivere e pare quasi la “summa” dei suoi film precedenti…

    Direi la continuazione di un viaggio, sempre lo stesso, attraverso le contraddizioni, le degenerazioni, le aberrazioni… Insomma: attraverso le mostruosità del potere. Solo che, questa volta, la realtà è attuale. E dunque incandescente. E dunque più scottante che mai.

LINA COLETTI

 

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