L’ECLETTICO E VULCANICO GIANNI GRIMALDI, FLUVIALE REGISTA DI SUCCESSO

Giornalista, redattore, direttore di fogli umoristici, scrittore, soggettista, sceneggiatore, popolarissimo regista cinematografico, autore di commedie musicali di larghissimo successo, del fecondissimo Gianni Grimaldi (Catania 1917 – Roma 2001) resta una sterminata produzione, conferma d’un’inesauribile vena creativa improntata ad un eclettismo ed una facilità di scrittura difficilmente replicabili.

    Laureatosi in Giurisprudenza, nel 1941 inizia la carriera di giornalista con il quotidiano catanese il “Popolo di Sicilia”, quindi trasferitosi l’anno successivo nella capitale entra a far parte della redazione del “Giornale di Sicilia” (momentaneamente trasferitasi a Roma) transitando successivamente in quotidiani di diversa tendenza politica: “Giornale della sera” (1946-50), “Momento”, “Momento Sera”, “La Giustizia” e dirigendo nel contempo fogli umoristici (“Pinco Pallino” poi “Marc’Antonio”, “Trilussa”, “Semplicissimo”), non tralasciando la collaborazione con altri periodici, tra cui il “Marc’Aurelio” palestra creativa, tra gli altri, anche di giovanissime future glorie del cinema italiano (Fellini, Steno, Maccari, Scarpelli). Salvatore Nicolosi, nella voce a lui dedicata nell’Enciclopedia di Catania (Tringale, Catania, 1987), scrive che “quando Fellini collaborava con il ‘Marc’Antonio’, gli portava due pezzi in una volta e gli regalava due vignette se il pagamento avveniva anticipato; e siccome tutti e due erano affamati”, Grimaldi doveva farsi anticipare i soldi dall’editore del ‘Giornale della Sera’ ”. Entrato in radio nel 1949 comincia scrivere, con frequenza impressionante, soggetti e sceneggiature per il cinema (peplum, parodie, spaghetti-western, comici, comico-musicali, commedie in costume, horror…) spesso non esilaranti, dalla vena facile, ridanciana e barzellettistica, fatti di gag e sketch, la gran parte delle quali d’immediata presa popolare e successo plateale.

    Dalla parodia (genere prediletto) “Io, Amleto” (1952) di Simonelli e fino alla fine degli anni ‘70 sforna, come soggettista-sceneggiatore, una gragnola di titoli (ben 147!) di cui diventa problematico dare elenco esaustivo: “Agenzia matrimoniale” (1952); “Accadde al commissariato” (1954); “Buonanotte avvocato!”, “La moglie è uguale per tutti”, “Accadde al penitenziario” (1955); “Mi permette babbo?”, “A sud niente di nuovo”, “Guaglione” (1956); “Arrivano i dollari” (1957); “I soliti rapinatori a Milano”, “Il bacio del sole” (alias “Don Vesuvio”), “Chi si ferma è perduto”, “I magnifici tre”, “Totò, Peppino e la dolce vita”, “I due marescialli” (1961); “Colpo gobbo all’italiana”, “Il figlio di Spartacus”, “Lo smemorato di Collegno”, “I due colonnelli”, “Totò diabolicus”, “I quattro monaci”, “I sette gladiatori”, “Il giorno più corto”, “Horror” (1962); “Totò e Cleopatra”, “Il monaco di Monza”, “Totò sexy”, “I due mafiosi”, “Gli onorevoli”, “Avventure al motel”, “L’ultima carica”, “Totò contro i quattro”, “I terribili sette”, “Che fine ha fatto Totò Baby”, “I quattro moschettieri” (1963); “Totò d’Arabia”, “Danza macabra” (1964); “I figli del leopardo” (1965); “Dio come ti amo”, “La vendetta di Lady Morgan”, “Mi vedrai tornare”, “Nessuno mi può giudicare”, “Quattro dollari di vendetta”, “Perdono” (1966); “Stasera mi butto”, “Nel sole”, “In ginocchio da te”, “Non son degno di te”, “Una lacrima sul viso”, “Se non avessi più te”, “Soldati e cappellani” (1967); L’oro del mondo” (alias “I due salumieri”), “Chimera” (1968); “Il ragazzo che sorride” alias “Mattino” (1969); “Angeli senza paradiso”, “Due bianchi nell’Africa nera”, “La vedova inconsolabile ringrazia quanti la consolarono” (1970); “Nella stretta morsa del ragno” (1971); “Quando le donne si chiamavano madonne” (1982) regia del figlio Aldo, prematuramente scomparso a Roma nel 1984.

    Non tarda, forte d’una esperienza maturata sul campo, ad aggiungere la sua firma anche alla regia e con l’amico di sempre Bruno Corbucci esordisce in tandem dirigendo nel 1965 due film: il non esaltante “James Tont, operazione 1”, parodia del celeberrimo James Bond (allora inneggiato eroe delle spy-stories) e “Questo pazzo pazzo mondo della canzone” (anche soggettista-sceneggiatore-musicista). Da solo, sempre nel ’65, si ripropone con il western “ciociaro-andaluso” “All’ombra di una colt”. Scimmiotta Leone con il demenziale western “all’italiana” “Il bello, il brutto, il cretino” (1967), interpreti i funambolici Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e ancora con i due palermitani (al tempo all’apice della gloria) gira “I due deputati” (1968), subito tacciato di qualunquismo, mentre una buona accoglienza anche dalla critica incassa “Don Chisciotte e Sancio Panza” (1968), palcoscenico assoluto per Franchi e Ingrassia, quell’anno interpreti di otto film! Sceglie Lando Buzzanca per il ”Puro siccome un angelo papà mi fece monaco di…Monza” (1969).

    Passa con nonchalance alla dolente materia letteraria di Leonardo Sciascia e con location (Zafferana Etnea) e cast tutto siciliano (Turi Ferro, Michele Abruzzo, Lando Buzzanca, Saro Urzì, Aldo Puglisi, Carletto Sposito, sospettosi sposi di alcune bellone dell’epoca) ricava “Un caso di coscienza” (1970) in cui “la materia trattata s’impone con una carica “morale” inaspettata….” (Comuzio). Con l’ “amatorius siculus” per antonomasia, Lando Buzzanca, nello stesso anno – dopo aver firmato la commedia in costume “Principe coronato cercasi per ricca ereditiera” (1970) – traspone in film la sua commedia “Aragoste di Sicilia” (scritta con l’immancabile Corbucci) con il titolo “La prima notte del dottor Danieli, industriale, col complesso del…giocattolo”, caso di “impotentia coeundi” (comico pendant del “Bell’Antonio” brancatiano) brillantemente risolto, quasi tutto girato nel catanese e traboccante d’ esotiche belline e bellone di turno. Cosa fosse il giocattolo non appare concettualizzazione di ardua interpretazione…

    Dopo il poco noto “Le belve” (1971), film ad episodi con Buzzanca mattatore e il consueto contorno di scosciatissime stangone, torna a “Le inibizioni del dottor Gaudenti, vedovo col complesso della buonanima” (1972), sempre con Buzzanca e Carlo Giuffrè e ancora alla materia letteraria, questa volta brancatiana, con il bozzettistico “La governante” (1974, interpreti Turi Ferro e Martine Brochard), interamente girato a Catania, dramma sessuale d’una lesbica calvinista, nel quale sconvolge il drammatico epilogo pensato da Brancati. Sempre da fonte letteraria (dal romanzo di Goffredo Parise dove personaggi e ambientazioni sono invece venete) e sempre girato a Catania è ancora “Il fidanzamento” (1975), ritratto d’un cinico e meschino piccolo-borghese votato al misero tornaconto personale, con uno spigliato Lando Buzzanca che rimanda “sine die” il matrimonio, interpreti: Martine Brochard, Anna Proclemer, Michele Abruzzo e Pippo Pattavina. Chiude la carriera registica con gli ultimi “Il magnate” (1974) e “Frou Frou del tabarin” (1976), dall’operetta “La Duchessa del Bal Tabarin” scritta nel 1916 da Carlo Lombardo.

    Autore di commedie musicali di largo successo (“Masaniello” con Marcario, “Peppino al balcone” con Peppino De Filippo, “Scaramuche” con Domenico Modugno, “Lilly e il poliziotto”, tredici commedie per ragazzi, “TuttoMusco” in sei puntate”…) innegabile resta di Grimaldi il ruolo che avuto nel tanto amato o vituperato cinema di cassetta, cioè di quella particolare tipologia produttiva che oltre ad essere scolpita nell’immaginario collettivo dello spettatore italiano degli anni del boom e a dipingere un tratto della storia del costume del questo paese, ha costituito per l’industria cinematografica italiana una vera e propria accumulazione primitiva della ricchezza, con i faraonici incassi al box-office, oggi lontano ricordo d’una irripetuta “âge d’or” cui non è estranea la complicità d’un pubblico bonariamente predisposto a corrive facezie.

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