CINEMA E PSICHIATRIA: IMPROVVISAMENTE, L’ESTATE SCORSA (1959)

L’asserita pazzia – quale morte civile di una persona, strumentale al mantenimento di un ordine familiare o sociale – è il tema centrale di Improvvisamente, l’estate scorsa, film del 1959, tratto dall’omonima pièce teatrale di Tennessee Williams.

    Violet (Katherine Hepburn) e’ una miliardaria americana che vuole donare un’ingente somma di danaro ad un ospedale psichiatrico. Tale versamento, però, sara’ effettuato soltanto dopo un intervento di lobotomia sulla nipote Catherine (Liz Taylor), la quale – a detta della munifica zia – sarebbe afflitta da una grave patologia mentale. In effetti, Catherine convive con una strana forma di esaurimento nervoso, da quando l’estate precedente aveva trascorso le vacanze ai tropici con il cugino Sebastian, figlio appunto di Violet, misteriosamente morto in quell’occasione. In vista dell’intervento, la ragazza viene affidata alle cure di un giovane e brillante psichiatra (Montgomery Clift), grazie al quale Catherine progressivamente comincia ad uscire dal tunnel, mettendo a fuoco le circostanze dell’infausto evento. Ma Violet teme proprio questo, per cui insiste col medico, affinché l’intervento sia effettuato quanto prima. Lo psichiatra, tuttavia, vuole vederci chiaro – data la natura irreversibile dell’operazione di aspirazione parziale di massa celebrale – anche perché, dopo aver interagito con la paziente, realizza che Sebastian era legato alla madre da un rapporto particolare, ossessivo, quasi patologico.

    Ma la società perbenista del Sud degli Stati Uniti, ancorata alle convenzioni e l’ospedale psichiatrico, desideroso di incassare l’ingente donazione, sono contro di lui: l’intervento di lobotomia sembra doversi proprio fare. Con una tecnica psicoterapeutica moderna per il tempo, il giovane medico giocherà la sua ultima carta: organizza un confronto diretto, alla presenza di più persone, tra zia e nipote, alla quale lo psichiatra aveva somministrato una massiccia dose di farmaco neurolettico, forse avveniristico per l’epoca. Grazie a questa diversa impostazione terapeutica, la verità finalmente emerge in tutta la sua crudezza: Sebastian era un omosessuale che amava praticare, nei paesi poveri, turismo sessuale. La bella cugina era il mezzo con cui egli, durante questi lussuosi viaggi, captava l’attenzione dei giovani del luogo, che poi pagava in cambio di prestazioni sessuali. Ma quell’estate ai tropici – appunto l’ultima di Sebastian – questi aveva esagerato, tentando di corrompere un ragazzo troppo giovane. Ciò aveva scatenato l’ira dei locali, i quali – in preda ad una sorta di ancestrale paganesimo – lo avevano legato ad alcune rovine di un tempio, per poi – all’esito di una misteriosa ritualistica – mangiarlo vivo. Il tutto alla presenza della povera Catherine, che per lo choc, aveva rimosso l’intero episodio, entrando appunto in una grave depressione. La lucida ricostruzione della ragazza determinerà un ribaltamento finale: se lei si libererà da ogni oppressione, la zia Violet improvvisamente impazzirà, scambiando lo psichiatra per il proprio figlio defunto.

    La sceneggiatura, curata da Tennessee Williams e Gore Vidal, è notevole: i due seppero magistralmente sfumare nel film temi scabrosi – quali lo sfruttamento sessuale, la pedofilia ed il cannibalismo – apertamente trattati nella pièce, senza tuttavia scolorirli.

    C’è molto pathos nel film: la tragedia della malattia mentale era, infatti, un tema molto vicino a Tennessee William, la cui sorella, affetta da disturbo psichiatrico, fu lobotomizzata coerentemente ai protocolli sanitari dell’epoca.

    Ma il soggetto – che sembra quasi rievocare la triste vicenda di Rosemary Kennedy, sorella minore del Presidente – si pone sopratutto come denuncia contro un abominevole costume del tempo, per cui la lobotomia – mascherata da finalità terapeutiche- diventava strumentale alla tacitazone di un soggetto sommariamente giudicato “troppo scomodo”.

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