ANONIMO VENEZIANO, O LA METAFORA TRA ESISTENZA E PERDITA

Sulle note dell’adagio in do minore, concerto per oboe e archi, mentre lui (Tony Musante) nella chiesa sconsacrata di San Vidàl, suona per lei, all’ombra di un Cristo in croce, lei (Florinda Bolkan, David di Donatello 1971 come migliore attrice), tra le lacrime, si allontana, consapevoli entrambi che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro.
Piange.

Non ti ho dato che male:
“Non pensarlo mai. Puoi farmi tutto tu.”
Perché sono tuo marito o perché muoio?
“Perché ti amo!”

    Troppo tardi ha capito di non aver mai smesso di amarlo: lacrime amare di chi ha anteposto alla felicità di un amore tormentato, la banalità borghese di una vita serena e piatta, priva di slancio e passione, in cui nulla manca. Una Venezia morente, malinconica e decadente, insolitamente deserta per essere una mattina di settembre, è quinta e testimone di un amore che ha vinto il tempo e la morte, attraverso un pellegrinaggio per i luoghi della memoria, in un alternarsi di battibecchi e tenerezza: Ca’ Foscari, il primo incontro, la loro casa in Campo della Maddalena, il Teatro della Fenice dove lui, primo oboista che sognava di diventare come Karajan simula di dirigere un’orchestra, la Locanda Montin dove risuona l’eco delle voci in festa nel giorno del loro matrimonio, con il suo glicine in fiore, nel ricordo del “loro vecchio modo di chiamarsi e di giocare”, la Tessitura Luigi Bevilacqua con i suoi pregiati broccati, il tutto accompagnato dalle musiche di Stelvio Cipriani (Nastro d’Argento 1971).

    Anonimo Veneziano, di Enrico Maria Salerno con la sceneggiatura di Giuseppe Berti, autore del lungo e unico dialogo tra i due protagonisti, esce nelle sale italiane nel settembre del 1970. Grande successo di pubblico, supera gli incassi di Love Story, pellicola hollywoodiana di cui sembra ricalcare le orme.

    Al successo di pubblico non sempre corrisponde il consenso della critica che, quasi all’unanimità, lo etichettò come un banale e patetico melodramma strappalacrime, sulla scia del genere drammatico sentimentale, di tendenza in quegli anni, condito da una elegante fotografia di Marcello Gatti e trainato da una coinvolgente colonna sonora: 33/30 C.A.M. SAG 9031, con 19 brani e 45 n.p. C.A.M.AMP 82, con 2 brani.

GIUSI LI VECCHI

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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