IL CINEMA SENTIMENTALE DI ROSSO DI SAN SECONDO

Quattro i film tratti dai lavori dello scrittore nisseno, tra i quali spicca tra tutti La bella addormentata (1942) regia di Luigi Chiarini, con Luisa Ferida ed Amedeo Nazzari.

    Un solo film muto, tratto dal racconto “La mia esistenza d’acquario” (pubblicato da Treves nel 1926), vanta Pier Maria Rosso di San Secondo (Caltanissetta 1887- Lido di Camaiore 1956) – eccellente scrittore aperto alle influenze europee surrealiste e precursore del teatro dell’assurdo – purtroppo non molto attenzionato dal cinema. Con il titolo Le due esistenze (1920) regia del tandem Ugo FalenaGiorgio Ricci, entrambi attori-registi, il film non deroga alla ferrea regola della trasgressione passeggera, molto in voga nel cinema del tempo che regalava forti emozioni purché alla fine tutto rientrasse nella morale corrente. Qui si plana addirittura sull’esotico: una zingara ammaliatrice del tipo “sempre libera degg’io”, tale Eva Halowska (Maria Melato) femme fatal divoratrice d’uomini, pentita giunge sull’orlo d’uno spettacolare suicidio perché innamorata respinta, ma incontrato un asceta eccola prontamente redenta ed emendata, sicché in conclusione “… la morale è encomiabilmente morale”. Il cinema generosamente regala un’anima anche alle maliarde gitane, senza terra e senza patria e le sdogana alla facile frontiera dei ciarlieri spettatori del muto.

    Del tutto episodico appare anche il ricorso al dramma dello scrittore nisseno, per un film ingiustamente passato presto nel dimenticatoio, La scala (1932) del sempre fecondissimo Gennaro Righelli, sceneggiato da Aldo Vergano (interpreti: Maria Jacobini, Carlo Ninchi, Giorgio Bianchi), disavventure sentimentali di una piccola stella del varietà, ininterrottamente infelice prima nel ruolo di sposa, poi in quello di madre e infine in quello di amante. Finché proprio sulla scala del titolo non avviene una dolorosa riconciliazione, foriera però di ulteriori umiliazioni. Poco prima che la poveretta impazzisca, stroncata da mille sventure, il marito finalmente impietosendosi si riconcilia con lei. Critica favorevole alla materia letteraria, ma fortemente ostile alla mise en scène di Righelli.

    A Rosso il cinema torna ad incuriosirsi ricavando dall’opera teatrale “Storiella di montagna” lo strappalacrime, deamicisiano e dimenticato Il torrente (1938) regia dell’ex capitano pluridecorato degli alpini e campione mondiale di sci Marco Elter, ridotto dallo stesso autore letterario; interpreti: Camillo Pilotto (Adorno) e Nelly Corradi (Bettina). Patetica e logora la trama: la vita alpestre e melodrammatica d’un orfana accolta da un vedovo padre di due bambine è all’improvviso sconvolta dalla morte di costui che precipita in un burrone; ma prima d’esalare l’ultimo respiro egli sposa in articulo mortis la sfortunata fanciulla, alma mater che dedicherà la sua vita alle due piccine. Di tendenza formalista e calligrafica – come si definisce “l’opposizione passiva” del cinema dei primi anni ’40, realizzato in stretta collaborazione con un gruppo di intellettuali antifascisti chiaramente influenzati dalle esperienze figurative francesi – è invece il più corposo dramma La bella addormentata (1942) del critico di fede fascista e teorico romano della “assoluta forma” Luigi Chiarini, professore e direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia, onnipresente dal 1936 al 1940 nelle giurie cinematografiche, sceneggiato dal marxista acese Umberto Barbaro, Brancati, Pasinetti e lo stesso Chiarini, macedonia di cervelli ideologicamente opposti. Amara e tragica storia della bella orfana Carmela (Luisa Ferida, da lì a poco fucilata dai partigiani) sedotta da un notaio di pochi scrupoli (Osvaldo Valenti), diventata prostituta in preda ad un sogno di purezza inviolata e poi salvata da Neri della zolfara (Amedeo Nazzari), un mafioso gentiluomo che si fa giustizia da sé imponendo al notaio Tremulo (Osvaldo Valenti, anch’egli fucilato con la Ferida dai partigiani) le nozze riparatici. L’autore sembra qui far uso della tecnica dell’attribuzione ai personaggi delle caratteristiche morali in base al nome. Ma il giorno delle nozze Carmela sviene e si ammala gravemente. Prima di morire confessa che Neri era il suo unico amore e proprio la sua incomprensione ne ha provocato la malattia.

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