SERGEI EISENSTEIN. PROFILO

Sergej Michajlovič Ėjzenštejn nasce a Riga il 22 gennaio 1898, regista, sceneggiatore, montatore, scrittore, produttore cinematografico e scenografo sovietico, ritenuto tra i più influenti della storia del cinema per via dei suoi lavori rivoluzionari per l’uso innovativo del montaggio e la composizione formale dell’immagine. Ha diretto capolavori della storia del cinema come La corazzata Potëmkin, Aleksandr Nevskij, Que viva Mexico! e Ottobre.

    Ėjzenštejn è stato un pioniere e un teorico del montaggio cinematografico, e sperimentò nuove modalità di produzione del senso attraverso tale pratica. Secondo il regista, come spiega nei suoi principali testi teorici, tra cui La forma del film, Il montaggio e teoria generale del montaggio, tale pratica poteva essere utilizzata efficacemente per manipolare le emozioni e le convinzioni ideologiche degli spettatori. Lungo tutta la sua carriera non smise mai di lavorare e ridefinire costantemente l’idea di montaggio e le sue possibilità espressive, passando dal Montaggio delle attrazioni al Montaggio intellettuale (detto anche Cinedialettica) a quello definito Verticale.

    Nei suoi primi film, Ėjzenštejn non usò attori professionisti. Le sue storie non trattavano di personaggi individuali ma si rivolgevano alle grandi questioni sociali, soprattutto ai conflitti di classe. La folla era il vero personaggio principale dei film, mentre i ruoli di spicco erano interpretati da persone senza esperienza professionale ma che avevano una fisionomia e un aspetto immediatamente riconoscibile e connotabile in rapporto a una classe sociale ben precisa (kulaki, borghesi, proletari, contadini), secondo il concetto di Tipaz usato in tutto il cinema sovietico dell’epoca. La natura sperimentale e critica del lavoro di Ėjzenštejn, si fondava sulla ricerca di un linguaggio cinematografico sempre più complesso e antinaturalistico, ovvero l’opposto di ciò che si andava imponendo nella linea culturale dell’Unione Sovietica stalinista.

    Ėjzenštejn fu il regista che portò le idee sul montaggio al massimo sviluppo. Dopo aver lavorato in teatro con Mejerchol’d, formulò la teoria delle attrazioni nel 1923, che l’anno successivo adattò al cinema, secondo il cosiddetto montaggio delle attrazioni. Con questo procedimento Ėjzenštejn intendeva scuotere lo spettatore con una sorta di violenza visiva, che lo sollevasse dal torpore dell’assorbimento passivo della storia, suscitando emozioni e nuove associazioni di idee. Lo stesso anno girò Sciopero, dove montò pezzi brevissimi, spesso scelti tra inquadrature strane o incongruenti, ma sempre dure e violente, in maniera da rendere il clima di caos dell’evento rivoluzionario raffigurato.

    Nel montaggio delle attrazioni tutto è disordinato, incompleto, scomposto e lo spettatore deve fare uno sforzo attivo per ricomporre il senso della storia e dei personaggi: è la teoria degli stimoli, dove lo spettatore è stimolato nella sua immaginazione e lavora con l’intelletto completando le figure inquadrate magari parzialmente, le azioni mostrate solo in parte, ecc. Inoltre Ėjzenštejn era contrario alla linearità temporale, arrivando a invertire l’ordine di sequenze elementari (ad esempio mostrando prima una persona che cade, poi uno sparo, poi il grilletto di una pistola), generando un’ansia e una paura maggiore rispetto a una sequenza scontata, montata secondo l’ordine canonico.

    Un’altra significativa teoria fu quella del cine-pugno, che mirava a scioccare lo spettatore, a colpirlo con le immagini, come primi piani improvvisi e molto ravvicinati, espressioni violente, azioni serratissime. Il capolavoro in cui Ėjzenštejn sperimentò queste teorie fu La corazzata Potemkin, soprattutto nella famosa scena della scalinata di Odessa, con l’arrivo improvviso dei soldati che sparano sulla folla, di straordinaria e terribile violenza. Col Manifesto dell’asincronismo (1928) Ėjzenštejn e Pudovkin arrivarono a sostenere la necessità di svincolare il commento sonoro dalle immagini, magari generando conflitti espressivi che possano scuotere lo spettatore.

    Nel 1929 Ėjzenštejn, ormai già famoso a livello internazionale, pubblicò Oltre l’inquadratura, dove teorizzava il montaggio intellettuale, che poteva filmare le idee astratte, come strumento di riflessione filosofica al pari di un libro. Aderendo alla teoria del formalismo di Šklovskij, inventa la “drammaturgia della forma”, dove il film è costruito sulla forma, arrivando a contrastare col contenuto ufficiale. Ma l’avvento di Stalin nel 1929 arrestò le nuove sperimentazioni, commissionando film a tema prestabilito e rifiutando quelli con fermenti d’avanguardia. Benché isolato dal regime, Ėjzenštejn continuò a scrivere teorie sul montaggio e sulla messa in scena, sviluppando anche le implicazioni col sonoro (film come “musica per gli occhi”, partitura musicale-visiva).

    Ėjzenštejn è stato probabilmente il più importante teorico della storia del cinema, ma la maggioranza dei suoi scritti rimane ancora inedita, nonostante l’importante lavoro svolto dal Kabinet Ėjzenštejn di Mosca, sotto la direzione di Naoum Klejman. L’edizione delle sue opere tradotta in italiano diretta da Pietro Montani per Marsilio Editori rimane al momento una delle più avanzate e affidabili.

Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema

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