QUESTA È LA MIA VITA (1962). JEAN-LUC GODARD

Credo invece che siamo sempre responsabili delle nostre azioni. E liberi.

Alzi la mano, sono responsabile.

Giro la testa, sono responsabile.

Sono infelice, sono responsabile.

Fumo una sigaretta, sono responsabile.

Volere evadere è un’illusione.

In fondo tutto è bello.

Basta interessarsi alle cose e trovarle belle.

Si, in fondo le cose sono come sono e nient’altro.

Un volto è un volto.

Dei piatti sono dei piatti.

Gli uomini sono uomini.

E la vita è la vita.

Le parole che la protagonista pronuncia, sanno di consapevolezza sartriana di fronte alla responsabilità di essere liberi. Arduo ostacolo da superare… l’angoscia dettata dalla consapevolezza, dal sapere che si è liberi di fronte all’essere, senza influenze e senza condizionamenti.

Elementi di riflessione provenienti dalla filosofia e dal cinema stesso, quello di Jean-Luc Godard in Questa è la mia vita (1962), quarto lungometraggio, presentato alla XXIII Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del 1962, dove riceve il Premio speciale della giuria ed il Primo premio della critica.

Costruito su dodici tableaux, nella realizzazione del film si ispirò a un’inchiesta giornalistica sulla prostituzione svolta da Marcelle Sacotte pubblicata nel 1951.

La trama racconta la vita di Nanà, una giovane Anna Karina nei panni di una donna che al termine della relazione con il compagno Paolo, trova un lavoro come commessa in un negozio di dischi ma la sua ambizione è di lavorare nel cinema come attrice. La realtà collude con il sogno: i soldi non bastano per vivere, così Nanà sceglie di entrare nel giro della prostituzione parigina.

La narrazione si trasforma in singoli frammenti che compongono la vita della donna, unendo immagine e parola scritta. Luoghi, personaggi, fatti, vengono presentati attraverso didascalie con cui ciascun quadro si apre.

In Vivre sa Vie – questo il titolo originale – si intreccia documentario e finzione, restituendo allo spettatore dettagli e dinamiche sulla prostituzione ed il suo impatto nella società francese. Indimenticabile il volto di Anna Karina ricoperto di lacrime quando nel buio del cinema osserva La passione di Giovanna D’Arco (1928) di Carl Theodor Dreyer immedesimandosi in essa.

Il maestro della nouvelle vague omaggia la Pulzella d’Orleans di  Schiller attraverso il primissimo piano di Nanà regalando un autentico e sublime pathos che richiama la natura stessa del cinema impressionista francese degli anni ’20.

MARINELLA RAPPISI

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