I NIBELUNGHI (1924) DI FRITZ LANG, TRA L’EPICO E IL FANTASTICO

Nel portare sullo schermo la leggenda del XII secolo dei Nibelunghi, Fritz Lang, sempre in collaborazione con consorte Thea von Harbou, esprime un universo mitologico favoloso con elementi soprannaturali solo nella prima parte (La morte di Sigfrido) nella quale viene rappresentata la mitica foresta dove cresce il leggendario eroe Sigfrido (Paul Richter). Costui riesce a uccidere il Drago e, bagnandosi col sangue che sgorga copioso dalle ferite del mostro, consegue I’invulnerabilità, ad eccezione di un piccolo punto sulla-schiena dove è andata a posarsi una foglia.

    Questa fatalità farà sì che l’invincibile uccisore del Drago muoia trafitto proprio nell’unico punto vulnerabile. Personaggio peculiarmente fantastico è il nano Alberico (Georg John), guardiano del tesoro dei Nibelunghi, che riesce a rendersi invisibile grazie al tarhelm, una specie di cappuccio magico. Ma Sigfrido riesce ugualmente a sconfiggerlo e, servendosi del tarhelm, aiuta il re Gunther
(Theodor Loos) a sconfiggere l’amazzone Brunilde (Hanna Ralph). Anche la scena della pietrificazione dei nani sudditi di Alberico evidenzia l’aura favolosa del “Sigfrido” langhiano che si svolge per la maggior parte in foreste che sono lo scenario naturale per le mitologie nordiche. Nella seconda parte (La vendetta di Crimilde) gli elementi magici e soprannaturali sono assenti a favore di una cupa, realistica, seppure inequivocabilmente leggendaria, congiura architettata da Crimilde (Margarete Schön) per vendicare l’amato Sigfrido.

    Il potente impatto della magniloquente messinscena di Lang è comprovata dall’influenza che eserciterà da Alessandro Nevsky (1938) di Sergei M. Eisenstein.

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