GEORGE ORWELL, IL FANTAPOLITICO

Nell’immaginario comune il nome di George Orwell è legato, per lo più, alla stesura di due romanzi, 1984 e La fattoria degli animali, connessi, entrambi, ad un’analisi impietosa del regime comunista, a partire dalla sua nascita fino al 1945 e oltre. Se si pensa che, in qualche modo e soprattutto con 1984, Orwell si spinge ad immaginare un mondo futuro assoggettato alla disciplina totalitaria comunista.

    È la fantapolitica, più che la fantascienza, ad animare gli interessi di questo scrittore, votato ad avere un rapporto diretto con le masse subalterne di gran parte del mondo occidentale. Del resto, la sua biografia, a questo proposito, parla chiaro: Eric Arthur Blair (che è il suo vero nome) nasce nel Bengala, a Motihari, nel 1903 e compie i suoi studi a Eton. A diciannove anni torna in India per arruolarsi al servizio della polizia imperiale indiana in Birmania. Dopo cinque anni rientra in Europa e trae spunto da questo suo periodo indiano per scrivere il suo primo romanzo, Giorni birmani. S’interessa, con enorme fervore, a quelle che sono le condizioni di vita delle classi subalterne: per questo inizia a svolgere i lavori più umili a Londra e a Parigi. Questa esperienza gli permetterà di scrivere Miseria a Parigi e Londra. Sposterà la sua attenzione su altre situazioni e su altri paesi: nel romanzo La strada per Wigan, Pier descrive, infatti, la vita dei disoccupati, mentre in Omaggio alla Catalogna, nato dalla sua partecipazione alla guerra civile in Spagna, analizza criticamente le pessime strategie del partito comunista spagnolo, resosi reo – a suo avviso – d’aver distrutto la sinistra anarchica consegnando la vittoria ai falangisti. Il totalitarismo antidemocratico diviene elemento di scherno del romanzo breve La fattoria degli animali che terminò di scrivere nel febbraio del 1944 e che fu pubblicato solo diciotto mesi più tardi: la satira violenta contro il regime stalinista fece sì che il libro fosse, inizialmente, osteggiato – in quegli anni di guerra non va dimenticato che l’Inghilterra vedeva nella Russia una sua alleata.

    Un tale romanzo dava fastidio e continua a darne se torna, di volta in volta, necessario smussarne i toni nettamente antisovietici: la fiaba (come ebbe a chiamarla lo stesso Orwell, consegnando a tale termine una sfumatura volutamente ironica) mette alle strette un governo solo apparentemente egalitario ed immagina una fattoria nella quale tutti gli animali si ribellano al re-uomo, spinti da una necessaria voglia di eguaglianza, e dove pure si viene a scoprire che alcuni animali risultano essere “più uguali degli altri”, come a dire che a un potere se ne sostituisce, quasi necessariamente, un altro per non questo meno indegno e violento.

    Nel 1948 scrisse il suo ultimo romanzo: invertendo le due cifre finali, immaginò in un ipotetico 1984 il futuro triste dell’uomo assoggettato ad un potere che tutto vede, che tutto controlla.
Il grande fratello, attraverso gli schermi televisivi, vede e governa gli abitanti di questo mondo infelice, caratterizzato da una neo-lingua, un linguaggio poverissimo di termini, incapace ad esprimere pensieri complessi e concetti astratti. E’ una forma d’imbarbarimento, di ritorno alle origini che Orwell immagina possa colpire l’Inghilterra futura, alieno – ovviamente – da quelle che saranno le reali rivoluzioni iniziate a partire dal 1989.

    Orwell immagina un mondo dominato da un pessimo socialismo e costretto all’amore per Il grande fratello (che ha evidenti rassomiglianze con Stalin). Immagina masse abbruttite di “prolet” che vivono in anonime ed orribili periferie, gente che, quale unica alternativa al lavoro massacrante, vive quella di ritirarsi nei pub a bere birra, costretta a seguire per lo più false informazioni abilmente manipolate dall’élite del partito: non a caso il protagonista del romanzo, Winston Smith, lavora quale modificatore di notizie riprese da vecchi numeri del Times riadattate al contemporaneo.

    Inutile dire che, in questo gioco al massacro, Orwell riesce a prevedere un futuro che, se non è proprio quello del trionfo del comunismo a livello planetario, pure presenta alcuni elementi riscontrabili nella realtà odierna che ci inquietano e ci fanno riflettere su meccanismi meno lineari che continuano a lacerare il nostro vivere sociale.

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