AI PALAZZI TEZZANO E COMUNALE, LE PRIME PROIEZIONI CINEMATOGRAFICHE A CATANIA
Lo scrivono Il Corriere di Catania e un entusiastico Nino Martoglio, subito convertito alla “settima arte”.
Quella rocambolesca vicenda di “seduzione e abbandono” di germiana memoria viene rivalutata da Mario Monicelli attraverso il filtro della rivoluzione dei costumi di fine anni ‘60, nel pieno del fermento socio-culturale che investì l’Europa e l’Italia in particolare proprio a partire da quel fatidico anno, il 1968.
Sul principio degli anni 50, Roberto Rossellini consolida un nuovo genere cinematografico – dalla critica definito intimismo, ma che il regista rivendicherà come “neorealismo dell’anima” – tramite la rappresentazione di donne, per lo più benestanti, che progressivamente entrano in distonia con l’ambiente in cui vivono, finendo col non sapere più comunicare.
Dopo aver raggiunto la maturità stilistica con Cento giorni a Palermo (1983), uno dei film considerati fondamentali all’interno della cinematografia d’inchiesta e dedicato alla memoria del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dalla mafia il 3 Settembre 1982, Giuseppe Ferrara prosegue il suo impegno civile nell’ambito della cronaca italiana di quel periodo.
Alcuni anni fa ci fu la pubblicazione di tre interessanti volumi su Nino Martoglio, scrittore, teatrante, giornalista, poeta, regista. Uscirono sotto la guida, prolifica e appassionata, del prof. Giuseppe Sambataro, che ha voluto dare alla città di Belpasso e al nostro Paese una vivida documentazione su ciò che Nino Martoglio fu nel campo dell’arte e su ciò che Martoglio potrebbe essere se fosse ancora tra noi. Premessa questa notazione informativa che si accompagna ad un’auspicata rivisitazione dell’opera martogliana limiterò questo articolo ad un solo tema che riguarda il film Teresa Raquin (1915).
Non ho mai visto Sperduti nel buio (1914). Benché sia ormai quasi un vegliardo, appartengo a quella generazione che per pochi anni, per un pelo, direi, ha mancato la possibilità di conoscere quest’opera chiave nella storia del cinema muto italiano, del quale si continua a parlare da decenni senza una cognizione diretta, e che ha finito per assumere i contorni indefiniti e i colori evanescenti della cosa mitica. Scritto sull’acqua, diceva Zavattini del cinema, tanti anni fa.
Carmine Bonavia (James Belushi) è un politico newyorkese di origini palermitane che corre per le imminenti elezioni alla carica di sindaco. Durante un’intervista, Carmine ha uno scambio di opinioni con Gianna (Carolina Rosi, figlia del regista), giornalista originaria proprio di Palermo, riguardante il problema dello spaccio e del consumo di stupefacenti.
Marcello Mastroianni veste i panni di un ufficiale della Nato, novello aspirante Casanova, affetto da impotenza ed incapace di sedurre un donna, senza lo stimolo di un incipiente pericolo che renda appetibile la preda. Sempre pronto alla fuga, quando l’avventura sembra giungere al dunque, si trova infine coinvolto da una amante nel tentativo di eliminare un marito oppressivo ed indesiderato.