TERESA RAQUIN (1915), TRA ZOLA E MARTOGLIO

Alcuni anni fa ci fu la pubblicazione di tre interessanti volumi su Nino Martoglio, scrittore, teatrante, giornalista, poeta, regista. Uscirono sotto la guida, prolifica e appassionata, del prof. Giuseppe Sambataro, che ha voluto dare alla città di Belpasso e al nostro Paese una vivida documentazione su ciò che Nino Martoglio fu nel campo dell’arte e su ciò che Martoglio potrebbe essere se fosse ancora tra noi. Premessa questa notazione informativa che si accompagna ad un’auspicata rivisitazione dell’opera martogliana limiterò questo articolo ad un solo tema che riguarda il film Teresa Raquin (1915).

    A guardare e a consultare gli scrittori che si sono occupati di Nino Martoglio, uomo di cinema, si ha subito la sensazione che, pur trattandosi di un personaggio che ha fatto testo nei vari campi della letteratura, poche sono le fonti a cui attingere per caratterizzarlo nei suoi aspetti peculiari. La bibliografia, anche se nutrita di notizie e indiscrezioni – ma restiamo sempre nel vago –, è assai sintetica per cui mi sembra opportuno leggere più nel pensiero degli scrittori che non tra le righe dei loro articoli. Due elementi occorre sottolineare: il primo riguarda la difficile reperibilità delle opere cinematografiche di Nino Martoglio e il secondo attiene all’interesse a posteriori dimostrato dai cultori di cinema a riscoprirlo come autore.

    A proposito della difficoltà di trovare nelle cineteche le opere di Martoglio, mi sia consentito di citare il nome del giornalista americano John Coley MacCarty che, venuto in Sicilia, inviato dal New York Times per un reportage sulla civiltà siciliana, ebbe a rivolgersi al comune di Catania per conoscere da vicino chi fosse realmente Martoglio uomo di cinema. La richiesta non ebbe risposta perché di Martoglio poco o niente esiste avuto riguardo alle sue opere filmiche. E pensare che egli fu autore tra il 1913 e il 1915 di alcuni film significativi come Il romanzo (1913) (Cines, protagonista Pina Menichelli), Capitan Blanco (1914) (Morgana Film, in collaborazione con Roberto Danesi) e come soprattutto Sperduti nel buio (1914) tratto da un racconto di Roberto Bracco e interpretato da Giovanni Grasso e Virginia Balistreri. Vorrei comunque fermare la mia attenzione sul film Teresa Raquin da Giacinta Pezzana, Maria Carmi e Dillo Lombardi. Del film non esiste alcuna copia. È certamente una perdita. Lo testimoniano enciclopedie cinematografiche internazionali che parlano del film e della personalità di Nino Martoglio come antesignano di una scoperta verista. Ne parlano il Bardeche e il Brasillach ne La histoirc du cinema (Parigi, 1935), Carl Vincent ne La storia dell’arte cinematografica (Bruxelles, 1939), Pasinetti ne La storia del Cinema (Ed. Bianco e Nero, Roma, 1939), Jeanne e Ford ne La storia enciclopedica del cinema (Parigi, 1947), El Cine: historia ilustrada del séptimo arte (Barcellona, 1950) e via di seguito fino a giungere a Guido Cincotti che è autore con C. Vincent del Cinema dalle origini alla prima guerra mondiale.

    Questi riferimenti danno la misura di quanta stima e considerazione era circondato Nino Martoglio che seppe dare alla storia del cinema pionieristico il suo valido contributo non solo di idee ma anche tecnico. «Egli ha visto – dice l’enciclopedia dello spettacolo di Silvio D’Amico le già vecchie pellicole danesi e certamente La vie telle qu’elle est (1911) di Louis Feuillade». Fatto sta che le immagini di Teresa Raquin rispondono ad una evoluta e schietta idea di cinema per il taglio espressivo della inquadratura, per la severità del materiale plastico. Di Teresa Raquin parla anche Chiattone in Cinema 1949. Ci resta comunque l’eredità parlata dello stesso Martog1io, il quale definì il romanzo di Émile Zola talmente interessante da tradurlo subito in un film.

    E aggiungeva: «A parte tutto, si era ancora agli albori del nuovo mezzo cinematografico e per me era una novità da tentare. Si trattava di far rivivere sullo schermo fantasmi implacabili, la figura di un uomo vivisezionata dal sesso,. il matrimonio di Lorenzo e Teresa e, quel che sarebbe piaciuto di più agli spettatori, l’accusa di mamma Raquin che, prima di finire i suoi giorni, smaschera i colpevoli portandoli alla decisione letale». Si tratta di considerazioni che pongono in evidenza l”‘Interesse di fatto” al cui centro si colloca I’ossequio al principio morale che esige la punizione del colpevole. Nino Martoglio si sentiva inoltre a suo agio per un ritratto che stigmatizzasse il comportamento della borghesia contemporanea, i morsi della coscienza e quelli dell’ossessione come recesso criminoso. Secondo Martoglio, l’arte si estrinseca in due forme di espressione: Teatro e Cinema. Il primo ha un riflesso immediato, il secondo pone prospettive meditate, studiate e organizzate nel tempo. Ragionando per assurdo, se Martoglio fosse vissuto ai giorni nostri, avrebbe certamente avuto altri mezzi di espressione cinematografica a sua disposizione.

    Si ricorderà che il soggetto di Teresa Raquin è stato fatto proprio da Tay Garnett con Il postino bussa sempre due volte (1934), tratto dal romanzo di James Cain e da Visconti con Ossessione (1942). E ciò a prescindere che l’idea zoliana aveva influenzato autori del calibro di Becque e Descaves. Da ricordare anche che I’argomento dominante e trascinante della Teresa Raquin di Martoglio è sempre un rapporto a tre, lei, lui e l’altro con tutte le implicazioni e correlazioni che una sessualità perversa e animalesca comporta. Sono deduzioni, queste, in un certo senso razionalistiche a cui Martoglio giunse attraverso un’inquietudine interna che guardava a certe situazioni di fatto che lo avevano turbato e deluso nel campo del teatro. Il cinema, a quell’epoca, avrebbe potuto placare questo suo stato d’animo. D’altro canto, ammessa la sopravvivenza di Martoglio, l’autore avrebbe certamente visto le versioni di Jacques Feyder (1928) e di Marcel Carnè (1953) e Le dernier tournant (1939) di Pierre Chenal (sempre tratto dal romanzo di Cain) facendo sicuramente riferimento al romanzo di Emilio Zola.

    Il nome e la fama di Martoglio, a prescindere dalla sua spiccata personalità teatrale, sono conosciuti oggi anche oltre oceano da registi cinematografici importanti e di talento come Bob Rafelson, autore di un nuovo Il postino bussa sempre due volte (1980). Ciò conferma che il valore dell’artista siciliano non resta nei confini indigeni ma ha acquistato un posto ben definito in quella cultura internazionale che si colloca al servizio di una rivoluzione educativa e morale. I saggisti martogliani hanno detto che il mondo di Émile Zola, con il quale I’autore siciliano ha poco in comune, seduce Martoglio per quel tanto di corrosivo che esso gli consente di dedurre da un quadro dai netti contrasti ambientali.

    Essi dicono, per esempio, che lo scrittore di Belpasso aveva creato, in maniera impeccabile, l’atmosfera della solitudine di tre anime in pena e aveva ricostruito gli ambienti in maniera perfetta dando agli interpreti quel ruolo psicologico che a loro spettava: una Giacinta Pezzana grassoccia e placida e una Maria Carmi pallida e scontenta. Avuto riguardo a Maria Carmi la scelta fu esemplare per quel quid di misterioso che le traspariva dal volto. L’ipotesi potrebbe essere azzardata ma se Martoglio fosse vissuto negli anni trenta, il suo nome, probabilmente, si sarebbe accostato a quelli di Feyder, Carnè, Duvivier e Renoir non fosse altro perché autore di un cinema eletto e nello stesso tempo popolare. Avuto riguardo alla iniziale attività cinematografica di Nino Martoglio mi sembra giusto citare il compianto Ugo Saitta, noto regista e cineasta catanese il quale, durante una recente conferenza, ha affermato che l’operatore Gaetano Ventimiglia girò nel 1909, per conto di Martoglio, Il divo con protagonista Angelo Musco. Il fatto, lontano nel tempo, sembra non abbia a sostegno testimonianze scritte. Ma Ugo Saitta, che proviene dal Centro Sperimentale di Cinematografia, parlò in quella sede di questo argomento non solo con Ventimiglia, ma anche con il protagonista, ossia Musco. La notizia va quindi accettata perché se le mancano i supporti scritti, la soccorre I’indubbia autorevolezza dei personaggi citati.

ENEA FERRANTE

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